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Akira Kurosawa: il secolo dell'Imperatore

Dai samurai al neorealismo, il regista toccò generi diversi.
di Emanuele Sacchi

Cento anni dalla nascita di Kurosawa
Akira Kurosawa 23 marzo 1910, Tokyo (Giappone) - 6 Settembre 1998, Setagaya (Giappone).

martedì 23 marzo 2010 - Celebrities

Cento anni dalla nascita di Kurosawa
100 anni sono trascorsi dalla nascita di un regista divenuto talmente più di un semplice autore di film da meritare il soprannome di Tenno, ossia Imperatore, come fan, amanti e critici del suo cinema amavano chiamarlo. Tenno, incarnazione di un'autorità suprema che, nella ossequiosa e gerarchica società giapponese, Kurosawa Akira ha guadagnato sul campo grazie a una carriera che vanta davvero pochi termini di paragone. Kurosawa è riuscito, anche più dei coevi mostri sacri del cinema giapponese – Ozu Yasujiro e Mizoguchi Kenji – a diffondersi in maniera capillare anche in Occidente, fino a coincidere in maniera tautologica con "il cinema giapponese" in senso assoluto, quantomeno per il pubblico meno smaliziato e avvezzo alle delizie d'Oriente.
Se Ozu infatti è il cronista imperturbabile del Giappone che fu e che più non è, della poetica delle piccole cose e del non detto, e Mizoguchi mette in scena il coraggio e la passione, specie quella legata a figure femminili dominanti e volitive, Kurosawa – che comincia a girare film solo nel dopoguerra quando ha più di trent'anni, quindi molto più tardi dei due colleghi – cerca di abbracciare un campo d'azione più vasto ed eclettico, che vada dal jidai geki de I sette samurai al neorealismo di Vivere, dalla tragedia scespiriana di Ran o Trono di sangue alla riflessione filosofico-morale dell'inarrivabile Rashômon. E anche in generi così differenti tra loro, Akira riesce comunque a realizzare autentiche pietre miliari, spesso imitate o riprese da un Occidente onnivoro e ghiotto di spunti originali.
È il caso di Yojimbo, storia di un samurai super partes nella faida tra famiglie rivali, che sarà ripreso da Leone in Per un pugno di dollari (e poi da Walter Hill in Ancora vivo), oppure ancora de I sette samurai, anch'esso rivisitato in chiave western nel celeberrimo I magnifici sette. Quelle di Kurosawa sono storie che si pongono come exempla per le vicende e le sorti di tutta l'umanità, tanto per l'élite dei potenti che per i più umili tra gli oppressi (Kurosawa riserva sempre nel suo cinema uno spazio privilegiato per i poveri e la gente comune, in linea peraltro con le simpatie socialiste e con l'amore sviscerato per Ejzentein). Un cinema di eroi, spesso incarnati dal feticcio-alter ego Toshiro Mifune, autorevole e fiero anche quando interpreta un brigante, come nell'imprescindibile Rashômon, riflessione filosofico-morale sulla malvagità della natura umana e sul potere della menzogna (e della macchina da presa che sfrutta l'immagine per condizionare il pubblico al suo volere). 100 anni di cui metà trascorsa a consegnare alla storia immagini e racconti che rappresentano un patrimonio inestimabile che il tempo non accenna a né tanto meno osa intaccare.

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