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Videocracy: un documentario creativo non politico

La realtà televisiva italiana che spaventa il regista Erik Gandini.
di Marlen Vazzoler

Una nuova epoca
Erik Gandini (56 anni) 14 agosto 1967, Bergamo (Italia) - Leone. Regista del film Videocracy - Basta apparire.

giovedì 3 settembre 2009 - Incontri

Una nuova epoca
Stasera verrà trasmesso in collaborazione tra le giornate degli autori e la settimana della critica il film-documentario Videocracy diretto da Erik Gandini.
La pellicola sebbene non sia ancora uscita nelle sale italiane, ha già provocato alcune polemiche nei giorni scorsi quando prima la televisione di stato, la RAI, e poi quella commerciale, Mediaset, si sono rifiutate di trasmettere il trailer del film. Videocrazia parla di come Silvio Berlusconi abbia costruito il suo potere intorno al media televisivo e di cosa succede alle persone in una società dove tutto viene improntato sulla televisione.

Quale è stata la molla principale a fare un film sull'Italia visto che ormai vive in Svezia da molti anni?
Erik Gandini: Questo mondo mi fa paura, la televisione ha un potere su questo paese che è pazzesco. Come sapete tutti quanti, da trent'anni a questa parte, ha invaso l'immaginario collettivo di questo paese che è uno dei pochi casi al mondo in cui il potere politico e la televisione sono totalmente inscindibili. Questo mi interessava. Io sono nato e cresciuto in Italia, mi ricordo l'inizio di questa epoca, e si vedono nel film questi primi esperimenti di televisione. Se qualcuno mi avesse detto che questo sarebbe stato l'inizio di una nuova epoca, di un nuovo impero mediatico e di un nuovo ordine politico avrei riso di questa cosa. Ci sono una serie di motivi per cui ho fatto questo film: ogni volta che torno in Italia e accendo la televisione divento molto triste, ho addirittura paura. I miei amici in Svezia quando parlano di televisione italiana ridono, si ride molto di Berlusconi. Mi da un po' fastidio questa prospettiva quasi da commedia. Questo è un mondo che comunica con noi sopratutto in modo unilaterale, in realtà noi dovremmo stare solo lì seduti a guardare, ad assorbire, il mio lavoro da documentarista è quello che mi dà forza e mi permette di non fare lo spettatore passivo bensì di entrare in questo mondo, in questi argomenti e raccontare il mio punto di vista.

Come questo film è stato selezionato sia dalla settimana della critica che dalle giornate degli autori?
Procacci: il film è stato visto, hanno preferito altri film a questo per la selezione ufficiale. Non credo che questo possa essere un motivo di polemica.

Cosa ha pensato ieri della passerella di Venezia che era composta da personaggi di cui si parla nel film?
Erik Gandini: Ero lì e ho visto passare alcune persone che ho riconosciuto e che sono nel mio film. Mentre stava passando Piersilvio Berlusconi, un signore che era lì con una macchina fotografica mi ha chiesto di scattargli una fotografia con lui, ed io gli ho scattato la foto.

Ieri è stato chiesto a Piersilvio perché hanno deciso di non trasmettere il trailer e lui ha risposto "Bé fanno un film contro il potere della televisione e poi vogliono la pubblicità della tv, mi sembra improponibile"
Erik Gandini: Io penso che la televisione si possa permettere dei film sulla televisione.

Cosa ne pensa della reazione della RAI?
Erik Gandini: Quando ho letto questa lettera della RAI, mi sembrava di leggere Orwell, più leggevo meno capivo e più leggevo più ho avvertito una grande sensazione di disagio, ho pensato che la mia versione del film ha quasi sottovalutato la tensione di questo paese. Ho come l'impressione che ci sia una guerra in atto in questo momento in Italia. Se uno scrivesse una frase che dice quello che viene detto nel trailer, cioè che la tv commerciale di Berlusconi ha creato il suo impero attraverso questo collage di programmi tipici e la pubblicasse, non farebbe molto effetto. Ma se tu la esprimi con le immagini della televisione con uno spot di trenta secondi, queste cose diventano molto più pericolose. Questo conferma la mia scelta di lavorare con questo tipo di linguaggio dell'immagine, per non raccontare solo dei fatti ma dare delle impressioni. È un linguaggio molto emotivo, al quale io mi affido perché ho quasi l'impressione che in Italia le parole non contano più tanto. Questa è la videocrazia, solo le immagini contano.

Come è andata quando ha incontrato Lele Mora e Corona? Come è andato il lavoro?
Queste sono persone che sono abituatissime ad esporsi a livello mediatico, sono forse i re dell'esposizione perché conoscono questo mondo meglio di tutti. Io sono molto curioso, mi interessava capire questi personaggi perché mi facevano capire tutto il sistema al di sopra di loro.

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