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Alina Marazzi, lo sguardo delle donne

Intervista alla regista di Vogliamo anche le rose.
di Alessandra Giannelli

Il femminismo visto da Alina Marazzi

lunedì 3 marzo 2008 - Incontri

Il femminismo visto da Alina Marazzi
Il 7 marzo uscirà il suo terzo documentario dal titolo Vogliamo anche le rose. Titolo importante, derivante dal famoso slogan, bread and roses, delle operaie agli inizi del Novecento che, oltre alla paga, reclamavano una migliore qualità di vita. Quello di Alina Marazzi è un documento prezioso, arricchito da molte immagini di repertorio, un'analisi più che del movimento femminista, del movimento femminile o meglio di quanto, e come, sia cambiato il modo di vivere delle donne dalla metà degli anni Sessanta alla fine dei Settanta. Argomento affascinante, anche attuale, del quale parliamo volentieri con lei, considerato che la sua opera è proprio una narrazione soggettiva, uno sguardo personale, che invita a capire e a riflettere. Conosciamo lei e il suo "sguardo".

Parlando di regia, quale è stata la tua formazione culturale, ma anche tecnica?
Ho frequentato, negli anni Ottanta, una scuola di cinema a Londra; sono andata a vivere lì, dopo le scuole superiori. Avevo già un interesse per la fotografia e mi sono iscritta a una scuola di video e film; poi ho fatto un corso triennale di cinema e televisione. Sono poi tornata a Milano, città dove sono nata, e ho iniziato a lavorare facendo documentari, anche per la Rai. Il primo documentario che ho girato aveva ricevuto un finanziamento per giovani autori ed era ambientato in Sicilia: una storia di pescatori, raccontata però dal punto di vista delle donne; già da lì cominciavo ad interessarmi di quella che è la "prospettiva femminile". Ho continuato a lavorare, spesso con la televisione svizzera italiana, facendo documentari sempre su argomenti sociali e culturali. Ho realizzato, per Raidue, un documentario sulle carceri minorili.

Nel 2005 hai fatto un documentario sulla vita monastica, Per sempre. Perché raccontare quella realtà?
Mi interessava la dinamica della scelta definitiva, assoluta, come appare la clausura. Mi affascinava, intrigava direi, ma la sentivo distante. Mi sono avvicinata alla clausura femminile, concentrandomi sui tre monasteri di cui si racconta nel documentario.

E poi, come mai con Vogliamo anche le rose parli, invece, dell'emancipazione femminile e quindi di altro? Da dove nasce l'esigenza di farlo?
In realtà, secondo me, non parla d'altro. Io ci vedo un mio percorso, c'è un legame: tutti i miei documentari mettono, al centro della ricerca, delle figure femminili che inseguono un modello cui aderire, ma spesso non lo trovano. Nel film su mia madre, Un'ora sola ti vorrei (miglior documentario al Festival di Torino nel 2002), c'è la storia di una donna che attraversa un suo disagio, quello di riuscire a superare un'immagine che le era stata attribuita; nel film sulle monache ritroviamo una novizia che lascia il convento e, quindi, c'è un discorso di trasformazione. Questo ultimo racconta il momento in cui non più solo una, ma tantissime donne, improvvisamente hanno scoperto che l'immagine e i modelli femminili non corrispondevano più al loro sentire, quindi hanno agito per trasformare la loro vita, la loro società, per condividere le loro esigenze, i loro desideri. Seppure diversi, i tre documentari hanno un filo conduttore, un'unica ricerca.

Quale pensi che sia, oggi, la condizione (chiamiamola così) della donna? C'è bisogno, di nuovo, di una rivoluzione di costume sociale?
Anche oggi ci sono dei modelli che poi non sembrano così reali. Da un lato c'è un'estrema libertà nel comportamento, nel mostrare il corpo, il proprio privato; nel parlare di sesso. Ma questa libertà non sembra corrispondere a una pari consapevolezza della libertà stessa ed è una delle conseguenze negative di un processo di trasformazione. In positivo c'è che oggi le donne e gli uomini sono molto più liberi nel vivere le proprie relazioni.
Il film esce in un momento in cui sembra davvero esserci il bisogno di parlare di questi temi e, quindi, credo che possa essere interessante per aiutare a riflettere sul dibattito che in questi giorni è dappertutto, ovvero quello sull'aborto. Tuttavia è riduttivo dividere la società tra buoni e cattivi, abortisti e non abortisti, mentre sono scelte molto più complesse. Se è venuta fuori questa cosa significa che c'è l'esigenza di parlare di questi temi, che sono stati molto presenti allora, poi taciuti, ma riguardano sempre e comunque tutti in qualsiasi momento della vita perché si tratta di relazioni, di rapporti.

Di quali altre storie ti piacerebbe parlare in futuro?
Vedo che continuo a pensare a personaggi femminili, per cui anche il prossimo lavoro avrà al centro una prospettiva femminile. Al momento mi sto occupando della promozione del film e non ho ancora un progetto concreto. Ho però scritto un racconto, che è uscito per Minimum fax (dal titolo "Tu sei lei"), intorno a un tema che è l'aggressività della maternità e, quindi, mi rendo conto che vado sempre a scovare questi temi un po' impegnativi, che sono spesso sottaciuti e che riguardano sempre le donne.

In generale, qual è il cinema, o l'autore di cinema, che preferisci?
Non ho preferenze categoriche; ci sono dei film che mi piacciono. Se devo menzionare un autore italiano, ti dico Matteo Garrone, mi piace la sua "visione".

In una parola, cosa vuoi raccontare delle donne?
In una parola? Beh, direi tutto! La vita delle donne, soprattutto. E poi parlare delle donne mi fa capire molto più di me, mi riconosco.

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