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Quando il trruffatore viene truffato... La truffa, sotto tutti i suoi aspetti, è un topos della letteratura e della cinematografia mondiale dalla notte dei tempi: dall'inganno del Ciclope Polifemo da parte di Odisseo al geniale scambio di reliquie da parte di Frate Cipolla di Boccaccio, dal leggendario Totò che vuol vendere la Fontana di Trevi all'ignaro turista americano al gustoso George Clooney di Ocean's eleven, per dirne alcuni. Ma stavolta la truffa viene vista dalla parte del truffato, a sua volta truffatore...
Il cast è assolutamente azzeccato, lontano dalla solita struttura Lui-Lei-L'altro: uno stellare Geoffrey Rush, dapprima schiavo delle sue superstizioni e delle sue manie, dedito alla contemplazione delle miriadi di immagini di donne ma senza averne mai avuta alcuna, capace di farsi sedurre - è proprio il caso di dirlo! - da una bellissima e malatissima Sylvia Hoecks; un accattivante Jim Sturgess, che fino alle ultime battute riesce a celare il disegno diabolico sotto le forme di un geniale restauratore di congegni meccanici che non disdegna di giocare all'amore; il grandissimo Donald Sutherland (nomen omen, quell'attore definito "una maschera plasmabile come si vuole" dal sommo Fellini) nella parte di un mefistofelico amico, pittore mancato e compagno di mille e mille scorrettezze d'asta.
Ma la truffa non è certamente il tema fondamentale del film, anche se ne costituisce lo scheletro: la guarigione della bella ereditiera, complice il genio della meccanica, diventa un mezzo per liberarsi dalle proprie ansie, al punto che, defraudato del suo patrimonio inestimabile di quadri, senza più voglia di vivere, il protagonista scappa a Vienna, nel ristorante dove lei è stata felice, sperando di trovarla. "Se lei arrivasse - narra un super-testo invisibile - il protagonista la perdonerebbe e l'abbraccerebbe". Un film sull'amore, quindi, un amore ben più profondo di quello di Daniel Auteuil in Un cuore in inverno, ben più esplosivo di quello che vivrà Daria Halprin mentre osserverà la distruzione della casa del padre in Zabriskie Point.
E alla fine non importa se si comprende solo negli ultimi dieci minuti che tutto è falso, che l'intero costrutto è fatto da quelli del cinema, come vengono definiti dalla vera padrona del palazzo, una povera disabile costretta per l'eternità su una sedia a guardare fuori di finestra... si rimane stupiti e si esce con la bocca dolce, si continua fuori della sala a commentare il film, si continua a rivivere la storia dentro di noi, parlando dei personaggi come di persone vere.
E allora grazie, Giuseppe Tornatore, perché ci hai preso per mano, ci hai accompagnato nella storia, ci hai fatto vivere con te la situazione e ci hai spiazzato al momento opportuno... grazie per aver fatto il cinema.
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