Forse il talento non sarà stata la sua dote principale, ma quanto a bellezza Billie Bohney non era seconda a nessuna. A quattordici anni era già una delle modelle preferite dai grandi disegnatori delle riviste illustrate, in particolare di James Montgomery Flagg, che la trovava così delicatamente bella, amabile a guardarsi, che le mise il soprannome di «Dove» («colomba»), nome che Billie adottò quando, qualche tempo dopo, su diretta richiesta di Florenz Ziegfeld, divenne una stella delle celebri Folies.
Dal 1917 al 1920 apparve in sontuosi numeri musicali, accennando qualche passo di danza, ma più che altro esibendo la sua casta avvenenza, appena celata da piume e lustrini, che la faceva presentare come una delle «Great American Beauties».
Naturalmente su di lei si appuntarono gli occhi dei talent-scout cinematografici e Billie, che già aveva fatto delle comparsate negli studi di Fort Lee, venne nel giro di un anno a trovarsi interprete di cinque o sei film, che avevano più o meno tutti la stessa trama: una ragazza (di buona famiglia, di campagna, una segretaria e così via) ambisce di diventare una stella del cinema, e alla fine di varie peripezie (genitori contrari, fidanzato geloso, le avances di loschi personaggi) ci riesce. Più o meno quello che stava capitando a lei.
Sposatasi col regista Irvin Willat, nel 1923 Billie si trasferì a Hollywood e, alternandosi tra gli studi della Paramount e quelli della Fox, interpretò, spesso diretta dal marito, film d'ogni genere, commedie brillanti come The Folly of Vanity (1924), uno dei primi esperimenti col Technicolor, Wanderer of the Wasteland (1924), un dramma aviatorio, The Air Mail(1925); fu la principessa al fianco di Douglas Fairbanks in The Black Pirate e per una volta venne apprezzata solo per le qualità artistiche in The Marriage Clause (1926), diretto da Lois Weber. Un altro genere nel quale Billie fu molto impegnata fu il western. La sua fragile figurina ne faceva la tipica eroina che i rudi uomini del West, interpretati ora da Tom Mix, ora da Hoot Gibson oppure da George O'Brien, riuscivano infine a strappare dalle grinfie dei cattivi.
Nel 1930 Billie incontrò Howard Hughes, il ricchissimo e stravagante produttore; i due divennero inseparabili. Lui aveva appena divorziato, mentre il matrimonio di Billie con Willat si avviava alla conclusione. Secondo quanto scrissero le gazzette dell'epoca e fu confermato dall'interessato, Hughes destinò una forte somma a Willat per indurlo a concedere il divorzio a Billie. E intanto produsse per la sua bella due film, The Age for Love (1931) e Cock of the Air (1932), che però furono due insuccessi; anche il rapporto tra i due si affievoli e dopo un ultimo film, Blondie of the Follies (1933), prodotto dalla sua amica Marion Davies che s'era riservata la parte principale, Billie incontrò un giovane proprietario di grandi piantagioni di frutta esotica, si sposò, ebbe un figlio, un'altra la adottò: e il cinema? «Un ricordo tenero di tempi tacito lontani. Follie di gioventù»», così rispose Billie ad un giovane cinefilo che era andato a trovarla nel suo ranch californiano, quarant'anni dopo il suo ritiro.

Da Le dive del silenzio, Le Mani, Genova, 2001.