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L’horror italiano è più vivo che mai. Lorenzo Bianchini e il suo L’angelo dei muri ne sono la dimostrazione

Tra i registi horror più apprezzati nel nostro paese (e non solo), Lorenzo Bianchini prosegue con questo film un percorso assolutamente personale che lo porta a scandagliare l’animo umano in modo sempre più approfondito. Da giovedì 9 giugno al cinema.
di Rudy Salvagnini

Gioia Heinz . Interpreta Sanja nel film di Lorenzo Bianchini L'angelo dei muri.
giovedì 19 maggio 2022 - Focus

Uno dei luoghi comuni è che l’horror italiano, un tempo in auge, sia da anni morto e sepolto. In realtà, di horror italiani se ne fanno ancora molti, anche se restano per lo più sotto traccia e hanno poca visibilità. Ci sono comunque diversi autori italiani specializzati nel campo che proseguono con determinazione un cammino commercialmente non facile. Tra questi, Lorenzo Bianchini è di certo uno dei migliori, ma anche dei più appartati.

Film dopo film, segue un percorso assolutamente personale che lo porta a scandagliare l’animo umano in modo sempre più approfondito sino a questo suo ultimo film, L’angelo dei muri (al cinema da giovedì 9 giugno e in anteprima dal 19 maggio nelle sale del Friuli Venezia Giulia), che in realtà sfida l’attribuzione a un genere particolare.

La storia è molto semplice: a Trieste, un anziano, sfrattato dal suo appartamento nel quale vive da molto tempo, fa solo finta di andarsene, ma in realtà si rifugia in un piccolissimo locale ricavato nell’appartamento erigendo un muretto, in modo da poterci vivere di nascosto. Così, riesce a vedere i nuovi inquilini - una mamma preoccupata e sua figlia gravemente malata e già resa cieca dalla malattia - spiandone i movimenti e instaurando un contatto con la bambina, per la quale diventa l’angelo dei muri.

Come il precedente Across the River - Oltre il guado, anche L’angelo dei muri si concentra su un personaggio, sulla sua solitudine estrema, sul passato che ritorna. Un cinema rarefatto, quello di Bianchini, che concede poco allo spettacolo e richiede molta attenzione allo spettatore, ripagandolo però con una sottigliezza e una profondità non comuni. Diversamente da altri che privilegiano l’aspetto esteriore dell’horror, ricco di splatter e gore, Bianchini ha da sempre preferito le atmosfere inquietanti, un cinema austero e oscuro, macabro nei toni e nell’anima. In questo avvicinandosi alla lezione di Val Lewton, il poeta delle ombre, che, caso più unico che raro, non era neanche un regista, ma era il vero autore dei suoi film, della loro poetica. Il clima cupo e severo del film di Bianchini richiama forse il lewtoniano La settima vittima, mentre il rapporto tra la bambina e l’essere che lei crede soprannaturale fa pensare, con tutte le ovvie diversità, a Il giardino delle streghe.

La soluzione scelta dall’anziano sfrattato può richiamare, per certi versi, il recente Parasite (guarda la video recensione) di Bong Joon-ho, con spirito ed esiti narrativi peraltro diversissimi. O ricordare un vecchio thriller con Gary Busey, L’intruso. Ma per la bizzarria e la curiosa determinazione con cui il vecchio l’adotta contro ogni logica e per il suo spirito ossessivo e al tempo stesso iperrealistico, sembra piuttosto uscita dalla penna di Edogawa Rampo, scrittore giapponese specializzato in un macabro opprimente e tormentato. Con il protagonista quindi che, nascosto in modo pertinace in uno spazio angusto (anche se non dentro una poltrona, come in un famoso racconto di Rampo), è intento a osservare ciò che succede nell’appartamento che è stato suo. Ma in realtà il protagonista non osserva tanto gli altri quanto se stesso. Riscopre il dolore del proprio passato che non lo ha mai abbandonato in tutti questi anni e con cui giunge a fare i conti alla ricerca, se non di una redenzione, di un sollievo dalla colpa.

L’acqua che si insinua simbolicamente nella casa per ogni dove è, assieme al vento (non è un caso che il film sia ambientato a Trieste), un elemento della natura che richiama la presenza del soprannaturale, come avveniva in un famoso film di fantasmi giapponese, Dark Water di Hideo Nakata, che con questo film ha anche in comune la presenza di una mamma e di una bambina in situazione di difficoltà oltre all’ambientazione in un edificio fatiscente che necessita di ristrutturazioni. Non manca nemmeno qualche tocco polanskiano, con il protagonista che osserva un appartamento nel palazzo di fronte e viene a sua volta improvvisamente osservato.


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