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Annette, un cinema così potente che è qualcosa di miracoloso

Il cinema di Leos Carax è magniloquente e allo stesso tempo semplice, puro e ingenuo, dalla portata così innovativa e rivoluzionaria di cui probabilmente nemmeno ci rendiamo conto. Ora in sala.
di Pedro Armocida

Annette

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Adam Driver (Adam Douglas Driver) (40 anni) 19 novembre 1983, San Diego (California - USA) - Scorpione. Interpreta Henry nel film di Leos Carax Annette.
venerdì 19 novembre 2021 - Focus

Tutto è disvelato davanti ai nostri occhi. La quarta parete, ancora una volta come nell’inizio del precedente Holy Motors, immediatamente abbattuta. La sospensione dell’incredulità una responsabilità pretesa allo spettatore. È tutto vero, è tutto maledettamente finto. Tutto è artificiale e allo stesso tempo magicamente fantastico, come nel cinema delle origini, come in quello di Étienne-Jules Marey, come in Méliès ma anche come in Franju di Occhi senza volto.

C’è l’inganno e c’è il trucco, infatti c’è il jump cut. È il cinema di Leos Carax che, come in Holy Motors, appare all’inizio di Annette per ricordarci che è un suo film, che parla di lui, ovviamente. Di più, sentiamo proprio la sua voce darci delle indicazioni perché – attenzione! – «gli autori sono in sala, mostriamo un po’ di rispetto». Ancora di più: «La respirazione non sarà tollerata durante lo spettacolo, quindi, per favore, fai un ultimo respiro profondo adesso». Tratteniamo il fiato. Parte "So May We Start” ed entriamo in un mondo che è musical, così dolce e celestiale, sembra quasi di stare dalle parti di quello classico americano in cui, come scriveva Jacqueline Nacache in un celebre saggio, veniva riflessa l’hollywoodiana “ideologia della felicità».

E allora «ridiamo, ridiamo, ridiamo», si sente ripetere spesso. E non è certo un caso che questo sia il primo film in inglese del regista francese, per di più girato a Los Angeles. La sequenza iniziale è paradigmatica dello statuto del film, c’è il regista, c’è la sua reale figlia adolescente Nastya Golubeva Carax, entrambi dietro il mixer, ci sono i musicisti, gli Sparks, inizia la processione, a loro si uniscono i protagonisti, Adam Driver, Marion Cotillard e Simon Helberg, che ricevono i costumi e si trasformano nei loro personaggi, Henry, perennemente motomunito (ah holy motors!), si dirige all'Orpheum Theatre e Ann alla Walt Disney Concert Hall di Frank Gehry.

Con il loro spettacolo ha inizio anche quello di finzione del film. Lui famosissimo stand-up comedian che scantona, disturba il pubblico, usa il filo del microfono come un cappio e un po’ ricorda Lenny Bruce (a proposito, vi ricordate di Lenny di Bob Fosse, peraltro uno dei più grandi autori di musical della storia del cinema?). Lei, soprano conturbante, si esibisce con una grazia che ammalia carezzevole. Grandissima storia d’amore tra i due che non si vergognano certo di cantarsi l’amor cortese reciproco – «ci amiamo così tanto che è difficile da spiegare – con la strepitosa “We Love Each Other So Much”.

Ma, come in un’opera pucciniana, l’amore e la celebrità chiamano l’autodistruzione del personaggio maschile. Ecco il melodramma più puro perché intanto è nata una bambina, la protagonista assoluta del film che porta il suo nome. Il colpo di genio di Carax è di mostrarcela come una marionetta ossia un avatar - un po’ Chucky, un po’ Charlie McCarthy di Edgar Bergen - che si muove senza fili, come Pinocchio.

Nel mezzo, in una tempesta immaginaria, la morte della mamma quasi cercata dal padre. E qui, anche se lo sappiamo che il progetto musicale è una vecchia storia originale dei fratelli Sparks, Ron e Russell Mael (a proposito esiste un documentario su di loro, The Sparks Brothers, diretto da Edgar Wright), non si può non pensare al suicidio nel 2011 dell’attrice Katja Golubeva, precedentemente musa di Carax (Pola X) che le dedicava, in russo, Holy Motors in cui c’è la strepitosa sequenza, curiosamente anche questa musicale, del personaggio interpretato da Kylie Minogue che canta “Who Were We” prima di buttarsi giù dagli ex magazzini parigini dismessi La Samaritaine. La rielaborazione di questo lutto, la messa in stato di accusa, attraverso il personaggio di Henry, del carattere egocentrico e narcisistico di un uomo, di un artista, con tanto di vendetta dei fantasmi dell’oltretomba, sono una delle forme di spietata autoanalisi più autentiche e dolorose che si possa immaginare.

Ma poi c’è sempre la forma, strepitosa, di Carax che affonda il suo cinema, magniloquente e allo stesso semplice, puro e ingenuo, dalla portata così innovativa e rivoluzionaria di cui probabilmente nemmeno ci rendiamo conto, nel passato più classico e nel futuro più contemporaneo. «Non rivolgere mai lo sguardo verso l’abisso», dice Henry/Adam Driver alla figlia mentre Carax da quell’abisso ci guarda.

Fare un cinema così potente, qui e ora nel 2021, sinceramente è qualcosa di miracoloso. Oltre che una questione maledettamente (molto) personale.


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