luciano sibio
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lunedì 6 gennaio 2020
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una sorta di cinepanettone di serie b
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Film incommentabile,una sorta di cinepanettone per la grande platea dei buoni che si moltiplicano in occasioni delle festività di fine anno e dei bambini che,non andando a scuola,hanno tempo da trascorrere al cinema, almeno lì stanno buoni.
Non è che Zalone abbia mia brillato per l'intelligenza e l'organicità del messaggio ma quii si esagera e soprattutto nonn si ride più come una volta.
In pratica buona parte del film si incentra su una sorta di amore per quell'anarchia dell'Africa che ci sottrae alla convenzioni sociali ma che viene in questo modesto film confuso e mescolato con la tradizionale ripugnanza esasperata.
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Film incommentabile,una sorta di cinepanettone per la grande platea dei buoni che si moltiplicano in occasioni delle festività di fine anno e dei bambini che,non andando a scuola,hanno tempo da trascorrere al cinema, almeno lì stanno buoni.
Non è che Zalone abbia mia brillato per l'intelligenza e l'organicità del messaggio ma quii si esagera e soprattutto nonn si ride più come una volta.
In pratica buona parte del film si incentra su una sorta di amore per quell'anarchia dell'Africa che ci sottrae alla convenzioni sociali ma che viene in questo modesto film confuso e mescolato con la tradizionale ripugnanza esasperata.degli italiani per le tasse e la burocrazia che ci costringe,ahimè !, agli ultimi posti in europa per correttezza e regolare funzionamento dei ns principali istituti pubblici.Trovo molto più comiche,invero,le campagne elettorali di certi ns politici in materia.
Eppure c'era un precedente e cioè il film interpretato da Sordi/Manfredi, "Riusciranno i ns amici atrovare l'amico misteriosamente scomparso..." di E.Scola
che con molto più garbo e semplicità ben descrive l'amore anarchico e anticonvenzionale per l'Africa.
La parte finale del film invece tratta più nello specifico il tema degli sbarchi e dei viaggi verso litalia e qui,senza troppe esitazioni,quello che prevale è un
tradizionale disegno,a piene mani,del cuore grande che anima il ns popolo con Checco Zalone nelle insolite vesti del Gesù bambino.
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gaetano bianca
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sabato 4 gennaio 2020
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tolo tolo non un capolavoro
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Tolo Tolo
Il film che tutti andranno a vedere, e che economicamente andrà benissimo. Fin qui sembra un'ottima recensione. Ma non lo è.
Con questo film Zalone vorrebbe ottenere il duplice scopo di far ridere facendo anche riflettere su un dramma dei nostri giorni che è l'immigrazione. Premesso che le critiche di razzismo che gli sono state sollevate prima dell'uscita del film sono del tutto infondate, quanto quelle di chi critica il Papa perché ha reagito ad una fan troppo calorosa.
Il film però a mio parere è un fallimento. È palese il tentativo di Zalone di mirare in alto con questo film, ovvero quello di ironizzare sull'immigrazione facendo ridere e riflettere.
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Tolo Tolo
Il film che tutti andranno a vedere, e che economicamente andrà benissimo. Fin qui sembra un'ottima recensione. Ma non lo è.
Con questo film Zalone vorrebbe ottenere il duplice scopo di far ridere facendo anche riflettere su un dramma dei nostri giorni che è l'immigrazione. Premesso che le critiche di razzismo che gli sono state sollevate prima dell'uscita del film sono del tutto infondate, quanto quelle di chi critica il Papa perché ha reagito ad una fan troppo calorosa.
Il film però a mio parere è un fallimento. È palese il tentativo di Zalone di mirare in alto con questo film, ovvero quello di ironizzare sull'immigrazione facendo ridere e riflettere. L'obiettivo è quello del film italiano più grande degli ultimi 20 anni, ovvero la Vita è bella di Benigni. In quel film, che tutti conosciamo, una tragedia come l'Olocausto viene messa in evidenza per far riflettere e per far ridere, ma con il risultato più grande di tutti, ovvero che oltre a far ridere, quel film fa anche commuovere e piangere. Capolavoro assoluto. Purtroppo nel film Tolo Tolo non avviene nessuna delle due cose, ovvero non fa né ridere e nemmeno piangere. Tutti quelli che sono andati a vederlo, e che andranno, si aspettano che faccia ridere, ma purtroppo, tranne qualche sporadica battuta, il film non fa assolutamente ridere, Il silenzio in sala è quasi lirico teatrale, e quando il più ottimista degli spettatori si aspetta la svolta comica del film, che non c'è, si deve rassegnare dopo 1 ora di film che tale svolta comica non ci sarà.
Fortunatamente per Zalone questo film andrà bene dal punto di vista economico, ma non perché il film merita tutti gli incassi che avrà. Zalone con questo film vive di rendita, rendita delle risate dei film passati, che lo hanno reso il comico italiano più pagato di sempre. I successi dei suoi film precedenti sono indiscutibili.
Con questo film voleva elevarsi, voleva non solo far ridere, ma dare scopi più importanti al suo film. A mio parere non c'è riuscito.
Sono sicuro che nel prossimo film ritornerà al vecchio format, ovvero far ridere senza avere altre pretese che non sono nel suo DNA.
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pippo
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venerdì 3 gennaio 2020
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film indigesto su un tema troppo complesso
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Mentre tutti i film concorrenti al cinema in questo periodo trattano temi come quello della natività o il genere della favola di Pinocchio dove il pubblico ottiene quello che di fatto si aspetta senza infamia e senza lode, arriva Luca Medici scegliendo un tema difficile, che divide tutti : paesi , politici, cittadini e su cui nessuno dei suddetti trova un accordo.Dove tutti scelgono un tema dove vincere facile, lui , come farebbe il suo personaggio Checco, spiazza tutti scegliendo il massimo della difficoltà che nessuno dei sui concorrenti oserebbe affrontare .Mette a dura prova il suo personaggio in uno scenario poco divertente , sacrificando l'aspetto comico , scegliendo di girare gran parte del fim in una terra straniera desolata , girando poche scene in iItalia e mettendo il luce vicende tristi che vediamo giornalmente sui notiziari.
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Mentre tutti i film concorrenti al cinema in questo periodo trattano temi come quello della natività o il genere della favola di Pinocchio dove il pubblico ottiene quello che di fatto si aspetta senza infamia e senza lode, arriva Luca Medici scegliendo un tema difficile, che divide tutti : paesi , politici, cittadini e su cui nessuno dei suddetti trova un accordo.Dove tutti scelgono un tema dove vincere facile, lui , come farebbe il suo personaggio Checco, spiazza tutti scegliendo il massimo della difficoltà che nessuno dei sui concorrenti oserebbe affrontare .Mette a dura prova il suo personaggio in uno scenario poco divertente , sacrificando l'aspetto comico , scegliendo di girare gran parte del fim in una terra straniera desolata , girando poche scene in iItalia e mettendo il luce vicende tristi che vediamo giornalmente sui notiziari. Anche il trailer basato su uno spezzone musicale lascia intendere altro da quello che si va a vedere.Ma la vera domanda : è perchè buttarsi in un così arduo compito se ,come sapeva benissimo , il suo pubblico si accontetava di molto meno? Forse doveva dimostrare di saper trattare contenuti "impegnati" ? Ma se vogliamo contenuti impegnati noi probabilmente ci indirizzeremo su altro, simpatia a parte.Pertanto questo film a volte risulta indigesto proprio come un "ovosodo che non va ne su e ne giù" (cit.).
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concettos
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sabato 11 gennaio 2020
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zalone disorienta e divide
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Ci siamo fermati per qualche istante, tutti, rimanendo perplessi davanti al grande schermo mentre scorrevano i titoli di coda di “Tolo Tolo”, ponendoci una domanda dalla risposta non immediata: cosa abbiamo visto? Cosa voleva dirci Zalone (Virzì) in questo groviglio da montagne russe della metafora, intinte in sprazzi di battute “autoreggenti” disseminate qua e là dal comico ex Zelig, e indorate da non pochi dubbi? E dov’è finito quell’iniziale canovaccio di storia di emigrazione/ immigrazione dispersa tra mille rivoli ingrossati d’altri contenuti?
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Ci siamo fermati per qualche istante, tutti, rimanendo perplessi davanti al grande schermo mentre scorrevano i titoli di coda di “Tolo Tolo”, ponendoci una domanda dalla risposta non immediata: cosa abbiamo visto? Cosa voleva dirci Zalone (Virzì) in questo groviglio da montagne russe della metafora, intinte in sprazzi di battute “autoreggenti” disseminate qua e là dal comico ex Zelig, e indorate da non pochi dubbi? E dov’è finito quell’iniziale canovaccio di storia di emigrazione/ immigrazione dispersa tra mille rivoli ingrossati d’altri contenuti?
Garantito che sorprende, e non poco, l’ultimo film di quella macchina d’incassi milionari che è Luca Medici, con questo suo “Solo Solo”, un inaspettato e disarticolato caleidoscopio di tutto (ma proprio tutto) ciò che un paese, come “l’Italietta”, poteva offrire al regista barese su un piatto d’argento per coglierne mille e più spunti da trascrivere in una sceneggiatura a volte parossistica, a volte quasi da scenette da cabaret, di certo non lineare e che non convince proprio del tutto.
Un film “inzuppato” in un incessante scorrere di una pletora di metafore da cogliere all’istante, dove non è permessa nessuna distrazione, dentellate metafore che ti inducono a un’analisi, al microscopio elettronico, delle moderne problematiche sociali e della nostra (mala) politica, quella becera, di pancia, degli slogan ad effetto e chiusi su sé stessi. Ma il vero problema per lo spettatore, abituato a film “più semplici” come: “Quo vado?” o “Sole a catinelle”, è comprenderne i giusti riferimenti, legarli, in pochi istanti, a questo o a quel personaggio del teatrino della politica o dell’evento di cronaca. Così diventa tutto un inevitabile susseguirsi di: chi l’ha detto? Questa battuta mi sembra di averla già sentita (che è colpa mia se sei nato in Africa?). Quel personaggio chi mi ricorda? Toh, guarda chi c’è!
E in questo ordinato caos, proviamo a chiarire qualcuno di questi rifermenti anche se presentati sotto il pesante, e onnipresente, maglio dell’allegoria, riportando quelli che, più di altri, ci sono rimasti dentro.
Su tutti il mito di noi italiani “malati” di acido ialuronico, l’anti-age per antonomasia, assillante la sua presenza tanto da diventare, nell’immaginario collettivo, più importante del denaro, della libertà, della vita reale. E poi giù, giù, con il problema degli immigrati e il reiterato concetto dell’integrazione entrambi proposti, alternativamente, sottotraccia o in primo piano, in forma retorica o semi seriosa, dove, al loro interno, fanno capolino più di una guerra dimenticata, la corruzione, i massacri nei villaggi africani sperduti, il tentativo di stupro e… il furto del copyright(?).
E ancora, la kafkiana burocrazia made in Italy che preoccupa di più di un attacco armato, e rigurgiti di fascismo che emergono in tutta la loro fuorviante correlazione di fronte al “vedo nero”. E come se ciò non fosse più che sufficiente, ti ritrovi anche il drammatico naufragio dei migranti ma in chiave allegorica e…cantata (ma era proprio il caso?) con l’immancabile stop agli sbarchi con il nostro paese diviso tra pro e contro dove, all’improvviso, si erge un Niki Vendola in versione di…sé stesso.
Prendete fiato, perché si continua con le canzoni, tante, a volte persino a tema, ma che sembra che ti tele trasportino in una sorta di musical alla (perdonateci il confronto) “La La Land” o per i più canuti in una reminiscenza di Yuppi Du. Per finire, anche alcune scene che, vagamente, fanno corsare scorribande in ciò che potrebbe ricordare il format di un doc film. In sintesi, si è provato a miscelare la drammatica realtà africana e i problemi tipici degli italiani attraverso l’ironia: come cercare di mischiare l’acqua con l’olio. Vi basta? No? Ok, allora vi raccontiamo anche della presenza dell’esaltazione del mito del griffato e la sua perfetta contraffazione e l’extracomunitario che ci da lezioni di cinema e di…italiano e siamo certi che chissà cos’altro ancora ci siamo dimenticati strada facendo.
Perché Zalone ha esagerato mettendo in un calderone di solo un’ora e mezza tutto ciò che poteva starci in tre film e anche più, comprimendolo per poi fallo deflagrare con la forza dell’esplosione di una supernova ma senza generare nulla di veramente concreto: forse appena un piccolissimo asteroide chiamato riflessione. Da segnalare alcune cadute di stile nella trappola del banale che alterano, annacquandolo, l’iniziale, nobile, scopo di alcune scene create per indurre a far pensare. Pertanto, non è per nulla facile il giudizio finale da parte nostra e degli spettatori in quello che possiamo definire: un tentativo di dare originalità a diverse tematiche dal facile déjà vu. Forse, se analizzato nel valore assoluto dell’allegoria qualcosa si salva, ma se doveva essere un “serio” esperimento di atipicità d’analisi dei non pochi mali della nostra società opulenta, attraverso il filtro (e gli occhi) di chi sta molto peggio di noi, profondi e concreti dubbi emergono e di non semplice risposta. Il finale, che non sveleremo, di certo è quello che più disorienta, in meglio o in peggio anche qua starà a voi decidere, anche perché chi l’ha visto ne sta ancora parlando e provando a capire se è un film che meriti il tutto esaurito in contemporanea in ben quattro sale di un multisala catanese e il nuovo record d’incasso nella prima giornata in tutta la storia del cinema italiano, record che, guarda caso, apparteneva sempre allo stesso Zalone. Esagerato anche questo.
di Concetto Sciuto
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fabriziog
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sabato 4 gennaio 2020
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film intelligente che fa sorridere ma non ridere
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Dopo più di tre anni di assenza Checco Zalone, al secolo Luca Pasquale Medici, ricompare sul Grande Schermo in veste di registra (per la prima volta), attore protagonista (ovviamente), sceneggiatore (con Paolo Virzì) e autore di alcuni brani della colonna sonora di “Tolo Tolo”, film che fa sorridere – e, talora, anche ridere – su un tema spinoso, divisivo ed attuale come quello della immigrazione.
La caratteristica geniale di Checco è una comicità che libera il cinema dal fardello del politicamente corretto, scherzando bonariamente (altra peculiarità dell’attore-interprete pugliese) su tutto, senza preoccuparsi se ad essere presi di petto siano i migranti, i politici di turno (Salvini, Di Maio o il linguaggio astruso di certa Sinistra “colta”), le ONG o quel giornalismo progressista che si riempie la bocca di “umanità” per poi mostrarsi cinico e spregevole.
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Dopo più di tre anni di assenza Checco Zalone, al secolo Luca Pasquale Medici, ricompare sul Grande Schermo in veste di registra (per la prima volta), attore protagonista (ovviamente), sceneggiatore (con Paolo Virzì) e autore di alcuni brani della colonna sonora di “Tolo Tolo”, film che fa sorridere – e, talora, anche ridere – su un tema spinoso, divisivo ed attuale come quello della immigrazione.
La caratteristica geniale di Checco è una comicità che libera il cinema dal fardello del politicamente corretto, scherzando bonariamente (altra peculiarità dell’attore-interprete pugliese) su tutto, senza preoccuparsi se ad essere presi di petto siano i migranti, i politici di turno (Salvini, Di Maio o il linguaggio astruso di certa Sinistra “colta”), le ONG o quel giornalismo progressista che si riempie la bocca di “umanità” per poi mostrarsi cinico e spregevole.
La pellicola “sfotte” a tutto tondo e a trecentosessanta gradi in maniera sorniona ed intelligente, con punte di sarcasmo che fa dirigere da un membro della carovana di fuggitivi in terra d’Africa un saggio ammonimento “Rispetta il Ramadan che appartiene alla maggioranza” (della popolazione di quei luoghi).
Altro personaggio illuminante è la bellissima Manda Touré (nella parte di Idjaba), che rimane a combattere per il suo Popolo (mentre gli uomini se ne scappano).
Ve ne è insomma per tutti i gusti e nessuno, credo, possa appropriarsi della trama a livello ideologico e partitico.
La fotografia (Fabio Zamarion) è splendida e si muove lungo il Marocco e il Kenia, senza disdegnare Malta, il Belgio, Trieste e la Puglia.
Le famiglie posso andare serene!
Fabrizio Giulimondi
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jonnylogan
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lunedì 13 gennaio 2020
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ebony and ivory
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Pierfrancesco detto Checco, evasore fiscale braccato da numerosi debitori, decide di abbandonare l’Italia e ricominciare una nuova vita facendo il cameriere in un villaggio vacanze in Kenya. Durante il proprio soggiorno il villaggio viene attaccato da un commando di terroristi e per questo Checco decide di fare rientro in Italia non con il proprio passaporto ma seguendo lo stesso percorso di tutti i migranti e con il solo scopo di far perdere le proprie tracce.
Zalone torna al cinema senza l’aiuto del suo fido collaboratore Gennaro Nunziante che per una volta gli cede il posto facendolo cimentare con la sua prima regia e consentendogli al tempo stesso di trattare un argomento fin troppo attuale e declinato con il solito fare finto becero che ne contraddistingue la maschera, creata su atteggiamenti finto scorretti e principalmente razzisti.
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Pierfrancesco detto Checco, evasore fiscale braccato da numerosi debitori, decide di abbandonare l’Italia e ricominciare una nuova vita facendo il cameriere in un villaggio vacanze in Kenya. Durante il proprio soggiorno il villaggio viene attaccato da un commando di terroristi e per questo Checco decide di fare rientro in Italia non con il proprio passaporto ma seguendo lo stesso percorso di tutti i migranti e con il solo scopo di far perdere le proprie tracce.
Zalone torna al cinema senza l’aiuto del suo fido collaboratore Gennaro Nunziante che per una volta gli cede il posto facendolo cimentare con la sua prima regia e consentendogli al tempo stesso di trattare un argomento fin troppo attuale e declinato con il solito fare finto becero che ne contraddistingue la maschera, creata su atteggiamenti finto scorretti e principalmente razzisti. La pellicola, introdotta con largo anticipo da un video che ha fatto storcere più bocche, diventa un modo originale per parlare di migrazione e molto altro, fra cui il dramma di chi è tartassato da tasse ingiuste pur di poter lavorare. Con il protagonista nel ruolo di un truffatore degno erede, per atteggiamenti e modus operandi, del “peggior” Alberto Sordi di sempre, citato, nemmeno troppo velatamente, con un passo saltellante e un abbigliamento finale che rappresentano la perfetta sintesi sia del Professor Dottor Gudio Tersilli ma anche dell’armaiolo e guerrafondaio Pietro Chiocca, che proprio nei paesi dell’Africa centrale aveva trovato il proprio filone aurifero. Zalone di Sordi però non ha certo la statura attoriale, ma sa dirigere e riesce a confezionare un’opera che è ben più di un semplice endorsement nei confronti del rispetto delle genti che approdano sulle nostre coste, alternando le proprie canzoni a una trama che scorre veloce verso una conclusione che lascia a suo modo interdetti forse perché dopo l’eccellente “Quo Vado?”, in cui l’autore di Capurso aveva preso di mira il malcostume di rimanere aggrappati a ogni costo al posto fisso e statale, noi per primi ci aspettavamo molto di più, al netto di incassi che stanno trasformando questa sua quinta pellicola in uno sbanca botteghino maggiormente ancorato però al personaggio più che ai contenuti offerti.
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no_data
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sabato 9 gennaio 2021
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disastroso. si completa la parabola di zalone
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Raccontare attraverso la comicità, l'ironia e la satira grandi drammi e temi complessi come quello dell'immigrazione e del razzismo è impresa ardua, riuscita nella storia cinematografica solo a giganti del calibro di Benigni, ai quali, suo malgrado, Zalone non appartiene. Ma in questo film viene meno anche quel poco di profondità che aveva reso Zalone accettabile anche a un pubblico cinematografico più esigente. Il film risulta completamente sconclusionato, con un intreccio confuso e disordinato, con battute e sketch banali e stereotipate disseminate qui e lì senza una logica. Il film segna, credo, l'ultima fase della parabola cinematografica di Zalone, ormai prigioniero di un personaggio che non ha più nulla da dire.
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dazo
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giovedì 2 gennaio 2020
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lamerica 2020
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Storia: c'è un italiano furbastro e intrallazzatore, dedito alle truffe e all'evasione, che lascia l'Italia per fare fortuna in un paese del terzo mondo dove fare affari, sfruttando le storture, la povertà e la facile corruzione di uno stato arretrato. Ma improvvisamente le cose non vanno per il verso giusto e rapidamente si trova povero trai poveri. Con un improbabile "Caronte" che lo guiderà durante questa migrazione verso la salvezza e la fortuna, il nostro "eroe" si troverà ad attraversare un inferno di miserie verso una meta che noi sappiamo non può che essere il Belpaese. Su un affollato camion viaggerà in un deserto di strade sconnesse e polverose, mentre gli altri poveri viaggiatori con il sottofondo di smielate canzoni del più becero Sanremo, sarà imprigionato e vedrà il suo passaporto strappatto.
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Storia: c'è un italiano furbastro e intrallazzatore, dedito alle truffe e all'evasione, che lascia l'Italia per fare fortuna in un paese del terzo mondo dove fare affari, sfruttando le storture, la povertà e la facile corruzione di uno stato arretrato. Ma improvvisamente le cose non vanno per il verso giusto e rapidamente si trova povero trai poveri. Con un improbabile "Caronte" che lo guiderà durante questa migrazione verso la salvezza e la fortuna, il nostro "eroe" si troverà ad attraversare un inferno di miserie verso una meta che noi sappiamo non può che essere il Belpaese. Su un affollato camion viaggerà in un deserto di strade sconnesse e polverose, mentre gli altri poveri viaggiatori con il sottofondo di smielate canzoni del più becero Sanremo, sarà imprigionato e vedrà il suo passaporto strappatto. Conoscerà l'infamia di essere ultimo tra gli ultimi, un senza patria come i suoi sventurati compagni di viaggio. Clandestino, emigrante, perseguitato riuscirà alla fine a compiere il suo destino: salire su una nave colma di umanità come lui, in un terribile viaggio della speranza verso il miraggio di un paese che non vuole altri disperati come loro e che farà di tutto per ricacciarli indietro. Nonostante che, i loro, siano soltanto i noi dei nostri nonni o bisnonni, alla ricerca di una fortuna chiamata L'America. 25 anni dopo il capolavoro mancato di Gianni Amelio, siamo ancora a raccontare la storia di un sud povero ma pieno di dignità, che bussa alla porta del nord benestante e arrogante, ma soprattutto smemorato. E in questo viaggio nella memoria che il dramma di Amelio come la commedia di Medici che fanno centro. E perdoniamoli questi difetti, le carenze di regia, un certo discascalismo, un lieto fine un po' posticcio, dei bei numeri musicali fantasiosi ma forse un po' slegati. E premiamo questa autentica macchina da incassi, che con coraggio o forse incoscienza rinuncerà forse a un bel pacco di milioni per sbattere in faccia a tutti noi una grande umanità che in questa Italia incattivita e sempre più triste e nera ci ricorda, purtroppo per l'ennesima volta, che oggi gli africani siamo noi, che 25 anni fa gli albanesi eravamo noi, che cento anni fa i nostri nonni fummo noi. Grazie Checco per averci ricordato che, questa volta, c'era veramente poco da ridere...
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adriano emanuele librizzi
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sabato 4 gennaio 2020
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deludente!
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michela
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sabato 4 gennaio 2020
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approvato
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Tolo tolo approvato, è un ‘giusto’ compromesso tra la comicità e la drammaticità della reale situazione. Per chi conosce di più l’argomento il film sarebbe dovuto essere più drammatico; Per chi non conosce l’argomento e va al cinema aspettandosi la solita comicità di checco sarebbe dovuto essere più superficiale e scialbo. La prima scelta sarebbe andata a discapito del pubblico più superficiale e la seconda a discapito del pubblico più consapevole dell’argomento. Ho potuto notare che tutte le critiche, o la maggior parte derivano dalla fetta di pubblico ignorante che vuole andare al cinema solo per ridere senza capire il reale motivo della risata. Perché non è piaciuto tolo tolo? Perché con una comicità drammatica sbatte in faccia delle realtà a cui nessuno vuole aprire gli occhi.
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Tolo tolo approvato, è un ‘giusto’ compromesso tra la comicità e la drammaticità della reale situazione. Per chi conosce di più l’argomento il film sarebbe dovuto essere più drammatico; Per chi non conosce l’argomento e va al cinema aspettandosi la solita comicità di checco sarebbe dovuto essere più superficiale e scialbo. La prima scelta sarebbe andata a discapito del pubblico più superficiale e la seconda a discapito del pubblico più consapevole dell’argomento. Ho potuto notare che tutte le critiche, o la maggior parte derivano dalla fetta di pubblico ignorante che vuole andare al cinema solo per ridere senza capire il reale motivo della risata. Perché non è piaciuto tolo tolo? Perché con una comicità drammatica sbatte in faccia delle realtà a cui nessuno vuole aprire gli occhi.
Molto significative diverse parti del film, lo si deve guardare cercando di capire cosa si cela dietro ogni scena. La scena in cui scoppia la bomba e lui, italiano, rimane inerme pensando ai suoi stupidi problemi è una di quelle scene piene di significante. C’è stato un momento, per la prima volta per me, in cui mentre ridevo mi stavo mettendo a piangere per la drammaticità del fatto.
Complimenti, un film fatto a dovere per “accontentare” tutti.
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