Anno | 2020 |
Genere | Documentario |
Produzione | Francia |
Durata | 58 minuti |
Regia di | Lech Kowalski |
Tag | Da vedere 2020 |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 7 agosto 2020
Un nativo americano si addentra tra le periferie di Parigi.
CONSIGLIATO SÌ
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Un viaggio tra le periferie di Parigi, viste perlopiù ai bordi di strade ad alto scorrimento, ai bar degli incroci e alle fermate del tram. Per questi luoghi si aggira Ken, un nativo americano proveniente da una riserva indiana di uno stato del nord. È in visita alla città, ma non si addentra mai nel cuore della capitale francese, preferendo rimanere ai margini e incontrare persone per caso. Fa la conoscenza di un pugile afghano, di profughi che gli raccontano le proprie storie, e cammina solo tra gli accampamenti dei senzatetto e le mense improvvisate.
Documentarista underground americano, Lech Kowalski ha da tempo spostato il suo obiettivo sulla Francia, le cui attuali correnti di tensione politica e sociale ben si sposano con il suo brand di cinema ruvido e sperimentale.
Con This is Paris too, la macchina da presa di Kowalski segue il suo "americano a Parigi" sui generis rimanendo abilmente a metà tra le tematiche di interesse sociale (con i suoi frammenti di vita emarginata) e la bizzarria di un pesce fuor d'acqua come tramite tra il regista e la realtà della strada francese. Il nativo americano Ken, con il suo cappellino "native pride" e gli sgargianti giubbotti tecnici è una chiave di interpretazione del mondo parigino piuttosto improbabile, che all'inizio sembra poter offrire solo la sua diversità a stelle e strisce ("non ho le risposte e non ho nemmeno le domande"), in una semplice giustapposizione di culture. Tra una carrellata e l'altra, però, Kowalski assorbe questa dissonanza nel tessuto del film, e finisce per rielaborarla completamente in una conclusione inattesa e toccante. Simile per certi versi al Piazza Vittorio di Abel Ferrara (con cui Kowalski condivide una certa sensibilità), This is Paris too evita il didascalismo e la commiserazione sullo status dei rifugiati nella grande e ricca città che non ha posto per loro. Accetta invece l'evidenza di questi fatti e ne mette in mostra l'essenza anche visiva, con quei luoghi urbani che sono prima di tutto fatti di binari da navigare, recinti da scavalcare, e di avanzi di cibo nei cestini.
È un cinema apolide e militante, quello di Kowalski, con l'orecchio pronto ad ascoltare le storie degli altri - e a cedergli il primo piano della sua macchina da presa - ma l'occhio pieno di pudore nello svelare quella del suo protagonista, in un piccolo film che, constatata l'impossibilità di andare a fondo del discorso politico, si rifugia nelle complessità dell'umano.