Anno | 2019 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 80 minuti |
Regia di | Bruno Oliviero |
Tag | Da vedere 2019 |
MYmonetro | 3,15 su 6 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 3 marzo 2021
Il racconto del percorso di emancipazione di un gruppo di detenute del carcere di Vigevano attraverso un'esperienza quadriennale di teatro condotta da Mimmo Sorrentino.
CONSIGLIATO SÌ
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Da tempo il drammaturgo e regista Mimmo Sorrentino conduce, presso la sezione femminile del carcere di Vigevano, un laboratorio di teatro partecipato che vede protagoniste le cosiddette “donne di mafia”, nel regime detentivo di alta sicurezza che si applica ai detenuti appartenenti alla criminalità organizzata. Ognuna delle partecipanti al laboratorio racconta a Sorrentino e alle compagne la sua storia, che viene “affidata” ad un’altra detenuta affinché la interpreti davanti al pubblico, in qualche modo facendola propria. I racconti vengono prima rielaborati da Sorrentino che, come dice lui stesso, si inserisce nello spazio fra ciò che le detenute “dicono e non sanno di aver detto”, perché quello che manca loro è, i primis, la consapevolezza piena di se stesse.
Una citazione di Nando Dalla Chiesa alla fine del documentario diretto da Bruno Oliviero e da lui scritto insieme a Mimmo Sorrentino e a Luca Mosso sottolinea che il laboratorio teatrale non è “blasfemo verso le vittime di quei clan che portano quei cognomi”, e dopo aver assistito al lavoro teatrale delle “donne di mafia” non c’è dubbio sul fatto che qui non si stia dalla parte dei colpevoli ma dalla parte di una umanità che può essere (quasi miracolosamente) recuperata anche in chi vi aveva, in buona parte, rinunciato.
Queste detenute escono occasionalmente dall’isolamento per raccontare la loro infanzia e il loro incontro con i “morti ammazzati”, e si recano all’Università Statale e la Civica scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano come al Teatro Palladium di Roma o al Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari per ripercorrere su un palco, con parole e gesti, la strada già decisa per loro, dalla quale sarebbe stato difficile allontanarsi. E chiedono perdono, agli altri e a se stesse, assumendosi la responsabilità non solo delle loro azioni ma delle loro vite, e del percorso da compiere da ora in poi.
Per tutte nel ricordo è fondamentale la presenza del padre, come di ogni altra figura maschile dominante. Per tutte il carcere è dentro prima ancora che fuori. La cinepresa scava nei loro volti attraverso primissimi piani che indagano l’anima, rivelatori senza essere indiscreti, perché è evidente la voglia che hanno queste persone di rivelarsi a sé e agli altri. Non c’è violazione dell’intimità, o spettacolarizzazione della sofferenza, ma un intento liberatorio che, su persone prive della libertà da ben prima del confino carcerario, ha un effetto dirompente. Ed è emozionante anche per chi guarda assistere a questo schiudersi delle coscienze e questo sciogliersi delle maschere sociali acquisite all’interno di una cultura”, come quella mafiosa, che vive di cammuffamenti e tragici “giochi di ruolo”.
Quando si ambienta un documentario, o comunque un'opera di "non fiction", dentro un'istituzione come un carcere, è sempre necessario usare un certo livello di attenzione. Laddove si faccia dei detenuti i protagonisti di una storia, ovvero quelli che - almeno laddove vigano una struttura cinematografica e narrativa del girato - dovrebbero essere oggetto dell'identificazione spettatoriale, si maneggia [...] Vai alla recensione »
"Il rossetto si confuse con il sangue e come nelle fiabe intervenne un principe. Mi portò a casa sua. Due settimane dopo mia madre viene a riprendermi, lui per trattenermi bruciò tutti i vestiti. Ero nuda. Ero troppo nuda perché mia madre potesse riprendermi a casa". Recita così una delle storie di donne raccontate da "Cattività", un documentario, in uscita il prossimo 12 marzo su Chili, CGDIGITAL [...] Vai alla recensione »
I teatri sono chiusi da tempo. E con il Covid abbiamo tutti capito cosa vuol dire essere limitati nella propria libertà. Quella stessa libertà che l'arte insegna. Ora che in un certo senso tutti viviamo in Cattività, questo doc diretto da Bruno Oliviero (dall'8 marzo su Prime Video) ci sembra quasi privo di quei limiti e di quelle costrizioni che invece racconta.
Mimmo Sorrentino, regista e drammaturgo che lavora da sempre nei luoghi del disagio sociale utilizzando gli strumenti dell'antropologia nei suoi spettacoli ha coinvolto attori, studenti, docenti, disabili, tossicodipendenti in recupero, alcolisti, anziani, extracomunitari, abitanti delle periferie, Rom, vigili del fuoco, giudici, magistrati, medici, infermieri, ambulanti, pendolari, malati terminali, [...] Vai alla recensione »
Fiere, occhi prensili, ben truccate. Raccontano di infanzie perdute, zii falciati, padri in cella, sangue. Opulenza, perfino, ma in stato d'allarme. Su queste memorie oblique e asimmetriche opera Cattività, doc allergico all'inchiesta sociologica e montato da Carlotta Cristiani come sacra rappresentazione. Né interviste né teste parlanti. Radiografia, invece, del "metodo Mimmo Sorrentino" (sua la pratica [...] Vai alla recensione »