Titolo originale | A Dog Called Money |
Anno | 2019 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Irlanda, Gran Bretagna |
Durata | 94 minuti |
Regia di | Seamus Murphy |
Attori | P.J. Harvey, Terry Edwards, John Parish . |
Tag | Da vedere 2019 |
Distribuzione | Wanted |
MYmonetro | 3,47 su 7 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 4 dicembre 2020
Un viaggio attraverso l'intimità, le emozioni e le culture della musica di PJ Harvey. In Italia al Box Office PJ Harvey - A Dog Called Money ha incassato 5,3 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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La musicista britannica PJ Harvey ha accompagnato più volte il fotografo irlandese Seamus Murphy nei suoi viaggi, in Afghanistan, Kosovo e a Washington DC. Dai suoi appunti ha tratto spunti per il disco "The Hope Six Demolition Project", contenente 11 tracce, registrato in uno studio costruito appositamente a Londra e pubblicato nel 2016. Il film è l'unione delle parole e le note della Harvey e delle immagini di Murphy.
Cantante di culto fin dagli anni '90, nota anche per le collaborazioni con Nick Cave e Thom Yorke, PJ Harvey è artista versatile: nel 1998 aveva recitato in The Book of Life di Hal Hartley.
Murphy riesce, senza farne un ritratto, a trasmettere lo sguardo che la musicista ha sul mondo e a raccontarne l'ispirazione e il processo creativo. Un qualcosa di difficile da rendere, senza essere didascalici, eppure il fotografo, alla prima regia, riesce magicamente a farlo. Si parte da Kabul, il luogo che ritorna più spesso nel film, con un bambino con il naso appoggiato al finestrino e un cinema distrutto. Poi la Harvey cammina per strada e, con la sua voce sottile, condivide alcuni pensieri sulla città. Sono appunti, materia per comporre poi le canzoni, e sono tra le poche parole di un film che coinvolge senza dare troppe spiegazioni.
Segue l'allestimento di uno studio di registrazione che, come per un'installazione, è fatto per dare al pubblico la possibilità di assistere alle incisioni attraverso una vetrata. È questo dispositivo che permetterà di fare come se tutte le persone incontrate nei viaggi fossero presenti e partecipanti nel momento della composizione e dell'esecuzione. Tra un brano e l'altro, ci sono le modifiche, i suggerimenti, le richieste di consigli, ma anche gli scherzi e i giochi di parole.
La musica accompagna e abbraccia, ma non è mai dominante, figurano tutti i pezzi del disco ma mai per intero o nella versione finale. A Dog Called Money, dal titolo di una delle canzoni, non ha quasi nulla di autobiografico, non è per niente autoreferenziale, ma restituisce la relazione che PJ Harvey instaura con i luoghi che visita, con le situazioni, le persone. C'è una Kabul insolita e affascinante, dove ci sono anche i militari, ma soprattutto tanti volti di persone comuni che lavorano o vivono la propria quotidianità. C'è la Washington della Casa Bianca, del Campidoglio e dell'obelisco, ma pure quella oltre il fiume Potomac: la città di chi non trova un lavoro o non vede un futuro e magari intona un rap che la cantante puntualmente registra, non la capitale del potere.
C'è il Kosovo con i monaci del monastero di Decani, le feste albanesi e i musicisti rom, ma si arriva ai migranti che premono in Grecia, a Idomeni, o a chi manifesta in Siria. Dall'altra parte un comizio a favore di Donald Trump e chi ne contesta l'elezione. Il tutto fluidamente alternato alle immagini dello studio della cantante al lavoro con i suoi musicisti: non un giudizio, per altro già implicito, su ciò che accade, ma come diventa spunto anche non palese della creatività della Harvey.
Un documentario che si colloca, e probabilmente non potrebbe essere diversamente date le sue collaborazioni passate, a metà tra Junun di Paul Thomas Anderson e Nick Cave - 20.000 Days on Earth con Nick Cave, senza averne magari la raffinatezza di concetto o di regia, ma con la capacità di cogliere una verità e restituirla allo spettatore. Murphy non si lascia condurre la musica e riesce a unirla alle immagini come se sgorgassero insieme e si unissero in un'emulsione: un balsamo per chi ama l'artista e non soltanto.
Tra 2011 e 2014 PJ Harvey segue in Kosovo, in Afghanistan e a Washington il fotografo Seamus Murphy, autore dei 12 Short Films che nel 2011 avevano accompagnato Let England Shake - l'album dell'apertura, per la superba cantrice di fantasmi interiori, al fuori, al mondo, a un inedito tipo di demoni. Ne nascono un libro; un disco, The Hope Six Demolition Project (dal programma Usa per la demolizione [...] Vai alla recensione »
Parole, immagini e note. Niente di più semplice, niente di più complesso se a crearsi è vera poesia animata da sincero impegno socio-politico. L' identificazione di un connubio artistico fra i più felici dei nostri tempi è quasi immediata: P.J. Harvey e Seamus Murphy. Traducendo per i meno esperti: una delle divine del rock alternativo britannico (riduzione per necessità semplificativa) accanto a [...] Vai alla recensione »
Il cosiddetto documentario di argomento rock è un genere a sé stante. Possiede una forma canonica strutturata quasi sempre intorno al montaggio di interviste recenti, con i protagonisti che guardano con nostalgia, rimpianto, divertimento, ironia al loro passato, testimonianze , materiale d' archivio che rievoca momenti cruciali della carriera e interviste d' epoca.
Tra il 2011 e il 2014 PJ Harvey segue nei suoi viaggi in Kosovo, Afghanistan e negli USA (Washington, D.C.) l'amico fotoreporter e filmmaker irlandese Seamus Murphy (A Darkness Visible), già autore dei video per i pezzi del suo precedente Let England Shake (2011). Dagli appunti e dagli incontri raccolti dalla cantautrice sul percorso - in aggiunta alle riprese fatte, sempre da Murphy, in Siria e Macedonia [...] Vai alla recensione »
Un bimbo afghano dal viso buffo e tenerissimo si affaccia al finestrino di un'automobile e vi schiaccia contro il suo piccolo naso: ancora non si sa chi è a bordo della vettura, ma basta questa suggestiva scena per incuriosire lo spettatore. Incomincia così il documentario PJ Harvey. A dog called money che, presentato nella sezione Panorama della scorsa Berlinale, inaugura dopodomani la nuova sala [...] Vai alla recensione »
Inizia con un'immagine di bellezza tragica, che come tutte le visioni decadenti ha qualcosa di misteriosamente attraente. È una sala abbandonata, fatiscente, quasi un reperto archeologico. Un luogo che, in questi giorni, assume un significato a tratti inquietante. "Fino a venti anni fa potevi pagare il biglietto del cinema in pallotte", dice PJ Harvej, anima che abita ogni angolo di PJ Harvey - A [...] Vai alla recensione »