Nessuno prima di Paolo Virzì aveva realizzato un'opera retrospettiva sul cinema italiano senile e in crisi di fine anni Ottanta. Presentato alla Festa del Cinema di Roma e ora in sala.
di Roy Menarini
Tra tutte le perplessità e le critiche ricevute da Notti magiche sulle colonne dei critici più importanti, quelle di bozzettismo o caricatura sono le più incomprensibili. Il nuovo film di Paolo Virzì è evidentemente una satira del mondo cinematografico italiano, colto in un momento di trapasso (è il caso di dirlo, visto che il film comincia con la scoperta di un cadavere: il morto è un produttore). Per forza che è raccontato attraverso deformazioni e esagerazioni. Del resto, nessuno aveva ancora fatto un'opera retrospettiva sul cinema italiano senile e in crisi di fine anni Ottanta. Si sono fatti film sull'epoca d'oro e sullo scarto rispetto al vuoto contemporaneo (da Latin Lover di Cristina Comencini a Una storia senza nome di Roberto Andò). O si erano fatti film sulla difficoltà tragicomica di fare film dopo i maestri e dentro un'industria narcisista e complessata (da Sogni d'oro di Nanni Moretti a Il caricatore di Eugenio Cappuccio, Massimo Gaudioso e Fabio Nunziata).
Il cinema che si prepara a inizio anni Novanta, secondo Virzì, è il prodotto di una gerontocrazia. Vecchi e anziani dappertutto, riconoscibili anche se sotto nomi di finzione.
Autori e produttori di terza età che fanno tutt'uno con l'élite intellettuale romana, e che costruiscono e disfano film o serie televisive parlandosi addosso nelle trattorie di gradimento, tra un piatto di tonnarelli e un accesso di tosse. Camminano a fatica, si fanno portare i pesi dalle ragazze più giovani, prendono a libro paga (si fa per dire) giovani sceneggiatori che pendono dalle loro labbra, hanno tutti - chi più chi meno - delle prede sotto i trent'anni di cui sono gelosi e che tengono avvinte a sé per pura gelosia, senza permettere alcun ricambio generazionale.
Ma come, si dirà. Non era una commedia? In verità Notti magiche è una satira, e nella satira notoriamente si salvano in pochi. Il gerontocomio del cinema italiano in crisi - dove persino un set di Fellini è diventato una cosa di una malinconia straziante - è la prima vittima dello sguardo impietoso di Virzì. Forse un pizzico di umanità in più, riconoscendogli il rigore del grande intellettuale, viene riservato a Fulvio (alias Furio Scarpelli, genio storico della commedia all'italiana), interpretato con il consueto rigore carismatico da Roberto Herlitzka.
I giovani dovrebbero - in questo probabile racconto autobiografico (Virzì si è diplomato al Centro Sperimentale nel 1987 e ha fatto lo sceneggiatore per anni fino al debutto del 1994 con La bella vita) - fare la parte dei rivoluzionari. Ma tutte le aspirazioni anarcoidi e libertarie di quell'età vengono soffocate dal clima di basso impero dove ci sono ex registi impegnati che vivono in uno scantinato e dove si pensa ancora di poter capire e raccontare una società che in verità sta cambiando rapidamente.
Notti magiche forse non è un'ammissione di colpevolezza, perché poi il più talentuoso e al tempo stesso superficiale dei tre protagonisti, il toscano di Piombino, è quello che smaschera le fandonie del produttore e che, annusando l'aria che tira, decide di mandare al diavolo tutto. Ma Notti magiche non è neppure l'autoassoluzione di un regista che spiega come è diventato grande passando attraverso esperienze umane euforiche e miserevoli insieme (non è, insomma, quello che ha fatto Olivier Assayas con Qualcosa nell'aria).
La differenza la fa, appunto, la cattiveria. Che a Virzì non è mai mancata. S'intende non il cinismo né la disumanità ma la capacità di far apparire il mostruoso sotto le pieghe del quotidiano, senza sconti - e questo, sì, è il lascito dei maestri della commedia. Anche quando si rischia di eccedere: la sequenza cui viene costretta Ornella Muti, o la figura fragile e un po' istupidita del vecchio autore dell'incomunicabilità, che rimanda esplicitamente a Michelangelo Antonioni. Il resto è una pletora di figure parassitarie e cialtrone, mangiapane e disperati, tutti ex di qualcosa in una fase terminale del cinema italiano.
Eppure, in mezzo a tanto crepuscolo, Roma - la Roma del cinema, la Roma del mondiale '90, la Roma un quarto di secolo prima di La grande bellezza - continua a valere la pena di un'esperienza.
Il vitalismo scorre, l'erotismo si diffonde, la passione trabocca, le speranze (mal risposte) tengono in vita. Per i tre giovani protagonisti è comunque un periodo indimenticabile. Come nella Dolce vita di Fellini (il vero grande monstrum del film, evocato anche dalle musiche di Carlo Virzì) la volgarità e l'attrazione del piacere mondano finiscono col prevalere ma il viaggio esistenziale dell'artista vale sempre la pena. A patto di saperlo raccontare. In questo senso, con tutte le sue caricature, Notti magiche è un film fondamentalmente onesto.