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Un vampiro in convento

L'Italia tragicomica di Marco Bellocchio.
di Roy Menarini

Alba Rohrwacher (45 anni) 27 febbraio 1979, Firenze (Italia) - Pesci. Interpreta Maria Perletti nel film di Marco Bellocchio Sangue del mio sangue.

domenica 13 settembre 2015 - Approfondimenti

Mentre si celebrano i 50 anni di I pugni in tasca, i 75 del regista (che girò il suo formidabile esordio a soli 25 anni), e la versione restaurata e definitiva di quel film, Bellocchio scegli di realizzare un'opera totalmente libera e a suo modo folle, destinata a quasi certa impotenza commerciale, e senza alcun vincolo con la sua prima pellicola. Passato da molto il tempo nel quale il regista piacentino protestava la pigrizia critica di inchiodarlo sempre al confronto col suo (troppo) precoce capolavoro, Bellocchio sta costruendo dagli anni Duemila una nuova filmografia comunque in grado di mantenere legami e radici profonde con le opere del passato e con la sua biografia personale e artistica.
In Sangue del mio sangue - oltre a Bobbio (già omaggiata nei bellissimi Vacanze in Val Trebbia e Sorelle Mai oltre che sfiorata mille e mille altre volte) - ci sono reticolari legami con La visione del Sabba, Gli occhi la bocca, L'ora di religione. Ma se dovessimo trovare un film cui quest'ultimo si apparenta, dovremmo citare La Cina è vicina, che nel 1967 costò all'autore accuse di superbia mentre, visto oggi e recentemente restaurato, si rivela molto più lungimirante e certamente non "grottesco" come fu definito. Il grottesco, in effetti, è una forma consustanziale del cinema italiano, ma è stato sviluppato soprattutto dalla commedia all'italiana e trasformato in "mostruoso" da autori portati al radicalismo, come Marco Ferreri o Ciprì e Maresco. Tuttavia, pur fotografato da Daniele Ciprì, Sangue del mio sangue non è affatto grottesco, come non lo era il pamphlet politico di La Cina è vicina. Quello di Bellocchio è, come sanno gli intenditori di teoria del comico, una forma di ironia psicanalitica e freudiana che si basa su paradossi e gag fulminanti, rovesciamenti e confusioni di identità, che suonano magari ermetiche e necessitano di un pubblico attento e disposto a decrittarle.
Gli spettatori invece sembrano - almeno a una prova empirica - quasi intimiditi dal grande autore e si trattengono, credendo di dover prendere con seriosità le svolte del racconto.
In verità, ci sono momenti di pura comicità e personaggi - pensiamo alle due sorelle affamate di desiderio e di corpo - irresistibili, così come la perdizione sensuale di Federico, che in poche ore cede a tutte le donne che gli si presentano dinnanzi, suona da "opera buffa". Certo, la religione (ossessione di Bellocchio e vero schema cognitivo attraverso il quale conoscere la realtà) opera paradossi ancor più raggelanti, come quando a Benedetta, accusata di stregoneria, viene imposto di gettarsi incatenata nel Trebbia: se riemergerà, sarà la prova che Satana la sostiene e dunque verrà uccisa; se finirà ad annegare sul fondo, si dimostrerà la sua innocenza, potendo forse morire in pace.
La seconda parte, certo, è più scoperta, con il Conte Dracula nascosto in convento, per non pagare né alimenti né pensione di reversibilità all'ex moglie, e con i canini cariati (più qualche sequenza meno riuscita, come quella con Filippo Timi), ma tutto nel film è invertito. La vicenda ambientata nel 1600, apparentemente plumbea ed erotica, va presa in ridere. La sezione contemporanea, quasi farsesca, va presa molto sul serio, essendo quella in cui Bellocchio ci racconta qualcosa in contropiede sull'Italia contemporanea.
E in questa danza un po' farneticante tra morti e non-morti, è a noi vivi che Bellocchio ricorda che il cinema deve volare più alto, raccontare il presente da punti di vista inediti e mai schierati, che bisogna spiazzare e sorprendere a costo di suscitare perplessità. L'inquadratura finale, immagine geniale e apocalittica, in questo senso è tra le più nitidamente comiche del cinema italiano contemporaneo, e spiega in un sol colpo perché, a parte rari casi, la commedia nazionale ha capito pochissimo di questo nostro, strano Paese.

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