domenica 7 febbraio 2016 - Focus
Era un po' di tempo che Atom Egoyan sembrava distratto, poco propenso a prendersi rischi, lontano dal cinema che lo aveva posto al centro dell'attenzione. Film come Chloe - Tra seduzione e inganno o Fino a prova contraria sono state prove davvero ardue per i critici più vicini al regista canadese, e anche opere più riuscite come The Captive non hanno scaldato gli animi, anzi sono sembrate pellicole sempre più anonime, di un regista che - sia pure sempre attivissimo e pronto a mettersi al lavoro su nuovi progetti - somigliava più a un affidabile "professional" che non a un autore di riferimento. Il che potrebbe anche non essere un male, a patto di dimenticare la prima parte della sua importante filmografia.
La precisione delle annotazioni e la profondità delle figure secondarie fanno di Remember un potente ritratto americano non meno di una suggestiva riflessione sulla memoria della Shoah.
Con Remember i temi della memoria, dell'identità e della trasmissione culturale e affettiva tra generazioni - da tempo al centro della sua riflessione - tornano in auge, e si intrecciano con il nodo della Shoah e del suo ricordo, probabilmente suggerite anche dall'ossessione (ben nota) per il genocidio armeno da parte del regista. Visto che si è già mirabilmente scritto a proposito di come interpretare Remember - ovvero un'opera che utilizza la demenza senile di un uomo dalla memoria fallace, per insegnarci come ricordare - e visto anche che le svolte radicali della trama non possono essere svelate, conviene forse ribaltare la questione, e chiedersi se Remember non sia anche un film sull'America di questi anni.
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In fondo, il road movie che fa da contenitore narrativo della storia non deve essere considerato un mero espediente formale. È fin troppo banale sottolineare come in tutti i road movie che si rispettino tendiamo a fraternizzare più con le tappe che con la conclusione del viaggio. E quel che accade al protagonista Zev durante il suo faticoso incedere a zonzo per gli Stati Uniti (con sconfinamento, non casuale, proprio in Canada), è altrettanto importante dell'arco narrativo principale, costituito dalla "missione" del vecchio ebreo per l'ultima vendetta - la quale ci ha ricordato anche Vendicami di Johnnie To, organizzato attraverso uno schema emotivo molto simile.
Egoyan, insomma, non perde occasione per commentare le contraddizioni più intime della società americana, di cui è difficile trovare linee comuni. Se la figura del poliziotto nazista, allevato come un cane rabbioso da un padre antisemita e vigliacco, ricorda certi film americani di Costa-Gavras, il ritornello soggiacente dell'arma Glock in possesso del vecchio vendicatore poteva persino suggerire un'atmosfera crepuscolare alla Sam Peckinpah. E invece serve solo a moltiplicare lo sperdimento della Storia che si dibatte nel vuoto del presente, e a dirci qualcosa di beffardo sull'America contemporanea.
Zev acquista senza problemi una pistola, la tiene posata sulla poltrona di un pullman come nulla fosse, se la porta al supermarket e, bloccato da una guardia, viene immediatamente congedato con una pacca sulla spalla e una battuta sulla buona scelta dell'arma. Le "stazioni" del percorso terapeutico del protagonista passano attraverso hotel anonimi dal design impersonale, ospedali e luoghi di passaggio tutti uguali, improvvisi squarci di esclusione sociale, linde villette famigliari ignare delle tragedie passate. Eppure lo spazio per la violenza e la sopraffazione si trova nascosto nei bauli, nelle cantine, nelle raccolte di foto, nell'ignoranza e nella grettezza che fanno da contraltare alla cura e all'aiuto verso gli anziani che tanti altri personaggi generosamente concedono.
La precisione delle annotazioni e la profondità delle figure secondarie fanno insomma di Remember un potente ritratto americano non meno di una suggestiva riflessione sulla memoria della Shoah.