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Il fascino indiscreto dell'amore, la luce dell'Est

Dal romanzo di Amélie Nothomb. Dal 28 maggio al cinema.
di Marzia Gandolfi

In foto una scena del film.
Pauline Etienne (34 anni) 26 giugno 1989, Bruxelles (Belgio) - Cancro. Interpreta Amélie nel film di Stefan Liberski Il fascino indiscreto dell'amore.

lunedì 1 giugno 2015 - Approfondimenti

Il romanzo di Amélie Nothomb ("Né di Eva né di Adamo") è il punto di partenza di una commedia di confronto etnico che fa agire personaggi credibili in spazi culturali plausibili. Sul fronte dei complessi incroci razziali il cinema, soprattutto quello inglese, si è sempre mosso producendo commedie arrabbiate e socialmente affilate. Diversamente con Il fascino indiscreto dell'amore, Stefan Liberski, regista, scrittore e umorista belga, assume in pieno il modello della commedia romantica. A interessarlo è innanzitutto la circolazione sentimentale tra i personaggi, il disegno delle loro vite private, l'identità e la mascherata dell'identità, lo scherzo del destino, le proprie radici, il fertile squilibrio.

Perché Amélie per quanto si impegni non potrà mai essere 'assolutamente' giapponese. Su questo desiderio frustrato si accomoda la commedia esotica di Liberski che come la sua protagonista è convinto che il metodo più efficace per imparare il giapponese sia insegnare il francese. E sulla lingua e il linguaggio si gioca un film di singolare dolcezza che sorprende più per il tono che per il soggetto, suggerito dall'autobiografia di Amélie Nothomb. Nata in Giappone e poi rientrata ancora bambina in Belgio, la celebre autrice ha coltivato quella nostalgie heureuse per il paese della sua infanzia, per le vie di Kobé e per quelle di Tokyo, per la terra apocalittica di Fukushima.
Come l'Amélie di Pauline Étienne, la Nothomb si è creduta per molto tempo giapponese, poi il padre, diplomatico belga, l'ha rimossa e trasferita in Cina, in Laos, in Birmania, in Bangladesh, negli Stati Uniti. Quello che è rimasto, accanto a una solitudine mai risolta, è l'attaccamento a una lingua e alla sua letteratura.

Il linguaggio per la Nothomb è la sola coscienza stabile, è corpo, è atto concreto. Da qui, l'irresistibile bisogno di scrivere dell'autrice che, alla maniera delle case giapponesi, è stata 'costruita' per non opporre resistenza alle scosse della vita. Ed è proprio la decostruzione continuamente inflitta delle certezze acquisite a renderle più facile la ricostruzione, la riformazione culturale in un paese altro. Di questa inquietudine, di questa flessibilità, di questo bricolage esistenziale, nel film non ci sono che i precipitati, echi diluiti in un'ordinaria qualità di narrazione. Rilevante è appunto la centralità romantica, architrave solida e naturale che dimentica di dare rilievo a pensieri e azioni dei personaggi.

Commedia vs dramma, mondi lontani quanto il Belgio e il Giappone, quanto la vita e la finzione, quanto un film e un romanzo. Nondimeno film e romanzo colgono, attraverso la confusione etnica, la promiscuità dei costumi, le dinamiche e le collisioni di una società aperta (e chiusa), esiti sia pure ansiosamente felici. Riferiscono di un Paese magnifico educato dentro un corsetto per costringere la propria natura eccessiva. Regole, norme e prescrizioni per ogni azione e sentimento della vita. Finanche il lutto che chiede silenzio e ripiegamento, che prevede un cordoglio intimo, che impone ad Amélie di ritornare a casa.

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