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Il western apocrifo: The Salvation

Il cinema in movimento di Roy Menarini.
di Roy Menarini

In foto una scena del film.
Mads Mikkelsen (Mads Dittman Mikkelsen) (58 anni) 22 novembre 1965, Østerbro (Danimarca) - Scorpione. Interpreta John nel film di Kristian Levring The Salvation.

lunedì 15 giugno 2015 - Approfondimenti

È vero che non si girano più tanti western come una volta. È vero che il genere in sé non ha più in alcun modo le caratteristiche di identificazione e presa culturale del periodo classico. Pur tuttavia sembra che sia un luogo poetico irrinunciabile anche per il cinema contemporaneo, se così tanti autori, da Quentin Tarantino ai fratelli Coen continuano a interessarsene con esiti commerciali di tutto rilievo.

The Salvation di Kristian Levring, però, ci racconta tutta un'altra storia, quella del western non autoctono, quello della riappropriazione culturale e del trasferimento geografico. Il nome più ovvio per questo tipo di operazione è Sergio Leone, capace di una delle opere di falsificazione e ricostruzione del mito più importanti di sempre, che ha dato vita a una serie di film - gli spaghetti western - in grado di influenzare mezzo mondo. E oggi non si sa se sia stato più il western classico o (più probabilmente) il western italiano a stimolare ogni sorta di imitazione e rielaborazione. Basti pensare che, solo tra anni Sessanta e Settanta, si parla di western slavo, tedesco, spagnolo, francese, e che persino in Finlandia, negli stessi anni in cui Leone immaginava la Trilogia del Dollaro, il regista Aarne Tarkas faceva operazione simili prodotte a Helsinki.

Nel cinema postmoderno, poi, succede di tutto: western all black, western femminili, western rivisitati, western che fingono di non esserlo (come il recente Loin des Hommes) western giapponesi (Sukiyaki Western Django di Takashi Miike), e altro ancora. Eppure ci sembra di non aver mai visto un western danese, girato in Sud Africa.

L'idea di Levring, proveniente dal mondo Dogma, non è quella di una decostruzione brechtiana e teatrale del genere - come poteva essere per esempio Dear Wendy di Thomas Vinterberg, sceneggiato da von Trier - ma questa volta di un rispetto quasi sorprendente per le regole del genere. Non si trova nemmeno la malinconia contemporanea per un mondo perduto, come si respirava in Terra di confine di Kevin Costner e Appaloosa di Ed Harris, ma solo e semplicemente un western.

E alla fine, ci si rende conto che fare un western è di fatto sempre una questione di come si trattano gli stereotipi, quelli che nessuno un tempo avrebbe definito tali, considerandoli invece i materiali sempre uguali e riconoscibili di un genere all'epoca amatissimo. E si capisce anche che il western continua ad essere, ancora oggi, un mezzo spurio, talvolta apocrifo, per alcuni registi e alcune cinematografie per rivendicare un proprio ruolo culturale e identitario. Levring, probabilmente, non pretende di dire qualcosa di importante sulla Danimarca ma certamente The Salvation è un altro tassello della storia del western europeo, così ricca e contraddittoria. Nel cinema globale degli anni Duemila, anche i film più scherzosi e meno esigenti mostrano caratteristiche geopolitiche tutt'altro che trascurabili.

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