Futuro prossimo: la Terra non riesce più a sfamare quel che resta dell'umanità, ridotta a manngiare pannocchie. L'ultima speranza è in un whormhole che qualcuno ha aperto vicino Saturno, una porta verso un'altra galassia dove alcuni pianeti sembrano poter offrire una nuova casa alla nostra specie. Unua missione disperata, forse senza ritorno.
Provo a sgombrare il campo dagli equivoci: non sono un fanatico di Nolan, né appartengo a quella fronda che lo considera un bluff totale.
Mi limito a dire che ho apprezzato, e molto, gran parte dei suoi lavori.
Interstellar parte con ambizioni altissime, dal confronto con 2001: Odissea Nello Spazio all'epica da space opera.
Il risultato è riuscito solo in parte: l'inizio è piuttosto lento e nonostante lo spazio riservato a questa pur necessaria introduzione, rimane il sospetto che tutto potesse essere raccontato meglio e più in fretta. Il viaggio non delude le aspettative, almeno dal punto di vista sensoriale: gran parte del merito, a mio parere, va al commento musicale di Hans Zimmer, prima ancora che alle soluzioni del reparto effetti visivi, comunque notevoli. Zimmer gioca con le frequenze costruendo un "muro del suono" di grande impatto, pressoché privo di melodia ma assolutamente coinvolgente, e alternandolo a piccoli intermezzi minimalisti cui è affidata una parte importante nel racconto della solitudine assoluta, spaziale e temporale, dell'equipaggio.
L'interazione e le problematiche relazionali fra i membri della spedizione sono ridotte all'essenziale, nonostante la durata di quasi tre ore. Molto più rilevanti sono quelle fra essi e le persone che hanno lasciato sulla terra (e non solo): è lì che il film, probabilmente, dà il suo meglio sotto l'aspetto della scrittura. Il montaggio si muove con grande disinvoltura fra uno spazio e l'altro, senza opporre eccessivi ostacoli alla comprensione. E qualcosa più di una sensazione quella che Nolan abbia tentato di raccontare il destino di una specie senza ricorrere ad alcuna sineddoche. Una scelta coraggiosa e ardua che, purtroppo, si risolve con un'implosione quasi imbarazzane per la sua ingenuità, con l'amore come chiave di tutto, unica forza (insieme alla gravità), in grado di superare il tempo e lo spazio.
Da un film tanto ambizioso e da un regista che era riuscito rendere finalmente adulto il fumetto, era lecito aspettarsi qualcosa di meno semplicistico. Al riguardo, il "piccolo" Frequency (2000) aveva fatto di più e meglio.
Il cast, Mathhew McConaughey in testa, fa bene il proprio mestiere; Michael Caine è sempre un solido rifugio, e anche Anne Hathaway, pur non sempre convincente, riesce a dare il meglio nelle scene di maggior pathos.
Visivamente, il film non delude ed è senz'altro apprezzabile la scelta registica di non affidarsi, per quanto possibile, alla CGI ma, piuttosto, di ricorrere a modellini: piccoli dettagli da cui la matericità, così come il senso di fragilità dell'intera missione, trovano giovamento.
Nolan gioca a fare Kubrik insistendo, con qualche leziosismo in fase di montaggio, sulla diffusione del suono (o la sua mancanza).
Momenti di Spielberg sparsi qua e là insieme al fattore contemplazione-riflessione tipico di Star Trek.
Le mie 4 stelle sono più 3 stelle e1/2: è un peccato quando si esce con la sensazione che il film appena visto aveva tutto per essere un capolavoro assoluto ma finisce con lo sfuggire dalle mani di un regista che, fino a questo momento, aveva dimostrato di saper maneggiare storie anche più complesse.
Da un punto di vista "meccanico", in effetti, nulla da obiettare. E' nei contenuti che convince poco.
Visto in sala I-Sens di UCI Cinemas.
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