Parlare di Interstellar significa molto probabilmente tralasciare il mero piano cinematografico e considerare il film di Christopher Nolan (la sua opera più ambiziosa secondo il parere di colui che scrive) come un’esplorazione metaforica all’interno dell’animo umano. Esattamente nello stesso modo in cui sul finire degli Anni ’70 Francis Ford Coppola tentò di fare con la sua risalita del fiume cambogiano in Apocalypse Now.
La Terra è sconvolta da immensi mutamenti climatici, con tempeste di sabbia devastanti che colpiscono l’imprecisata regione degli Stati Uniti nel quale il protagonista (un credibile e misurato Matthew McConaughey) sopravvive con la propria famiglia. Si potrebbe a questo punto pensare a una sorta di omaggio al romanzo più famoso di Steinbeck, ossia Furore, ma a differenza di quest’ultimo non vi è nella pellicola una destinazione sicura verso cui andare. L’unica prospettiva è data dai dustbowl e dalla morte che essi portano con loro. Tuttavia è proprio in quel momento che il cuore della narrazione prende il via; e con esso i suoi numerosi interrogativi. Infatti, una missione verso lo spazio è lanciata: lo scopo è trovare una nuova “casa” per il genere umano. Ma questa impresa sarà compatibile con i sentimenti più profondi dei personaggi?
Il nostro protagonista lascia, infatti, la propria famiglia (con la ragionevole certezza di non rivederla mai più) per assicurarle la salvezza o in quanto la spedizione rappresenta la sua occasione di rivincita nei confronti della vita e delle occasioni perdute? Parimenti, la sua compagna d’esplorazione Ann Hathaway viaggia per il bene dell’umanità o per ritrovare l’uomo che ama, inviato anni prima come esploratore in un pianeta sconosciuto? Il Matt Damon disperso è pronto a uccidere in quanto reso folle dall’isolamento prolungato a cui è stato costretto o per imporre la propria volontà coincidente con il presunto bene collettivo?
Infine, anche l’anziano scienziato Michael Caine potrebbe essere letto come un personaggio ambivalente. Pur sapendo che l’equazione su cui lavora da una vita è irrisolvibile, invia una spedizione verso morte certa sperando di trovare una soluzione al problema di cui sopra (e così conquistare gloria perdurante) o solamente poiché incapace di lasciar consumare i propri simili all’interno di una vita senza più speranza?
In ogni caso una luce in fondo al tunnel la porta con sé Jessica Chastain, figlia del protagonista, giovane donna mai doma nella ricerca di una soluzione. Soluzione che arriverà in maniera sorprendente; conducendo lo spettatore a comprendere come spesso la realtà non sia quella che appare, e che la forza dei sentimenti è dirompente e capace di travalicare le dimensioni percepite dai sensi e, soprattutto, dalla ragione.
Anche il messaggio finale, esemplificato dalla ripartenza di McConaughey, è di speranza, dato che mostra come nessuno, mai, vada abbandonato, pur quanto pericoloso e difficile sia il viaggio.
In definitiva, una pellicola costantemente sul confine del capolavoro sia per quanto attiene alla storia in sé che per il messaggio. Anzi, in particolar maniera a causa di quest’ultimo, e delle riflessioni che esso ingenera in coloro che guardano.
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