Anno | 2013 |
Genere | Documentario |
Produzione | USA |
Regia di | Frederick Wiseman |
Tag | Da vedere 2013 |
MYmonetro | 3,50 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 3 settembre 2013
Con questo documentario, Wiseman intende mettere in risalto la cura nella gestione dell'università di Berkeley. Al Box Office Usa At Berkeley ha incassato 6,1 mila dollari .
CONSIGLIATO SÌ
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Nel 2010 Frederick Wiseman si aggira tra i corridoi dell'università californiana di Berkeley per riprenderne la quotidianità. Attraverso le immagini del documentarista viviamo le lezioni, le discussioni, le proteste e i dibattiti del campus americano.
Il potere alla parola, al confronto dialettico e all'esempio che Berkeley in questo senso costituisce, specie se paragonato ai nostri metodi di insegnamento; dopo aver immortalato la danza classica dell'Opéra e quella irriverente del Crazy Horse, lasciando spazio alla flessuosità dei corpi e allo stupore per le coreografie, Wiseman passa radicalmente ad altro, confezionando con un certosino taglia e cuci un gigantesco kammerspiel del reale.
Come un invisibile attore Wiseman siede tra i banchi di Berkeley quando si discute di integrazione razziale, di equità, di poesia e ingegneria. Presenza impalpabile eppure demiurgica, che orchestra quattro ore - desunte da un girato di oltre cento - in cui sintetizzare passato, presente e futuro della più prestigiosa università della California; i problemi di budget, le sue prospettive di espansione, le sue oscillazioni politiche e le innumerevoli curiosità, come i corsi di recupero per veterani dell'esercito. Tutto questo è Berkeley, un microcosmo in cui sopravvive una scheggia della contestazione di fine '60 (è come se in quelle pareti risuonassero ancora gli assoli di Jimi Hendrix) ma che vive in pieno terzo millennio, quello in cui nei ruoli di comando spesso siedono i protagonisti originari della contestazione. Che oggi fanno i conti con altre contestazioni, in un loop paradossale che pare ridurre la protesta politica a fenomeno generazionale, con prevedibile corollario di denigrazione da parte di chi c'era nei confronti di chi oggi emula.
At Berkeley è per Wiseman l'occasione per ribadire e perfezionare la sua teoria della compresenza di reale e astratto, di ciò che è ripreso e palesato dal documentario, visibile superficialmente, e di ciò che il montaggio e uno specifico accostamento vanno a rappresentare, ossia il significato recondito e autentico dell'opera, la direzione che il regista-demiurgo ha in mente per quest'ultima. In questo gioco su due tavoli emergono molteplici verità, ma una in particolare sembra inquadrare in maniera esemplare la poetica wisemaniana. Quando uno studente lamenta la sostanziale assenza di testimonianze sulla vita quotidiana delle antiche civiltà - mentre dei rispettivi monarchi siamo venuti a sapere tutto - ecco emergere il senso ultimo della ricerca di Wiseman: fare in modo che non avvenga lo stesso per il nostro presente osservato dalle civiltà future, concentrandosi su quel che sta ai margini dei media o addirittura all'esterno, ma la cui visione possa rappresentare, a seconda dei casi, un monito, un incitamento o una forma di lectio moralis.