Titolo originale | Az do mesta as |
Anno | 2012 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Repubblica ceca, Slovacchia |
Durata | 84 minuti |
Regia di | Iveta Grófová |
Attori | Dorotka Billa, Maria Billa, Jarka Bucincova, Silvia Halusicova, Robin Schmidt . |
MYmonetro | 2,57 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento mercoledì 19 febbraio 2014
L'opera prima della documentarista Iveta Grófová affronta un tema di scottante attualità come quello della mancanza di prospettive per i giovani europei.
CONSIGLIATO NÌ
|
Dorota appartiene a un pesino slovacco, dove sogna un futuro d’amore con il fidanzato. Dopo il diploma, però, poiché la madre non è in grado di mantenerla, viaggia fino ad Aš, sul confine tra Repubblica Ceca e Germania, per impiegarsi in una fabbrica tessile. Licenziata insieme ad una coetanea, Dorota si vende lentamente ad un uomo più vecchio, dopo aver frequentato gli ambienti sociali più squallidi.
L’opera prima della documentarista Iveta Grófová è disturbante nei modi del racconto tanto quanto è disturbante il racconto stesso, nel tema che tratta. Girato in estrema economia di mezzi anche se non di tempi (la regista si è trattenuta sul luogo delle riprese a lungo, soprattutto per trovare gli attori non professionisti di cui era in cerca), di estremo possiede anche la prossimità al soggetto, tipica di certo documentario, specie quando ad interessare l’obiettivo sono le reazioni emotive, quasi somatiche, dei suoi indagati. L’adozione di questo punto di vista ravvicinato ha però anche, in questo caso, l’intento (o almeno l’effetto) di sottolineare ancora più crudelmente la violazione dello spazio personale e del diritto alla scelta della ragazza. La visione è dunque tutt’altro che pacifica per l’animo dello spettatore e infonde un rifiuto che è al tempo stesso il limite del film e la prova dell’efficacia della denuncia.
La priorità dell’autrice è senza dubbio quella di catturare non solo e non tanto le motivazioni che portano le ragazze sulla via di quest’autocondanna all’inferno (la mancanza di denaro sufficiente alla mera sopravvivenza è la prima ma non l’ultima di queste ragioni) ma soprattutto le dinamiche della discesa stessa. Colpisce, all’interno della parte migliore del film, e cioè quella che ruota attorno alla fabbrica e alla vita in comune delle lavoratrici slovacche emigrate e ghettizzate, la triste saggezza delle più vecchie, che sanno che solo il lavoro può offrire una possibilità di riscatto, forse, se resterà il tempo, ma certo non la chimera di un uomo che si rivelerà soltanto un altro e più invasivo mezzo di schiavitù. Eppure la tragedia di Dorota è proprio lì, nel rifiuto di affacciarsi alla vita già disillusa, nell’ostinazione con cui coltiva un sogno per poi doverlo distruggere quotidianamente e dolorosamente e dover farsi carico di una disillusione tardiva e peggiore.
Un film dell’orrore, quello vero, quello della porta accanto. Senza sangue e senza sconti.