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Pearl Jam 20, the final countdown

Proiettato domani in più di 500 sale nel mondo il docufilm sui Pearl Jam.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

In foto i Pearl Jam.
Eddie Vedder - Capricorno. Interpreta Se stesso nel film di Cameron Crowe Pearl Jam Twenty.

lunedì 19 settembre 2011 - Approfondimenti

Il conto alla rovescia per l'uscita di Pearl Jam Twenty – o semplicemente PJ20, a mo' di divieto ai minori di vent'anni – sta per terminare. Domani più di cinquecento cinema sparsi nei quattro angoli del pianeta, dagli Stati Uniti all'Australia e Nuova Zelanda, dal Messico e l'America Latina tutta fino al Sud Africa, proietteranno il film documentario che fissa su pellicola la storia ventennale della leggendaria band di Seattle.
In tempi in cui concerti e presentazioni di album si consumano nel buio di una sala cinematografica comodamente seduti in poltrona, magari sgranocchiando popcorn con lo sguardo fisso sullo schermo e il piede a battere il ritmo della musica, anche Eddie Vedder e soci hanno scelto di fare di PJ20 un'esperienza collettiva.
Presentato al Toronto International Film Festival 2011, il documento che porta il sigillo di Cameron Crowe è l'opera ultima di una band che vent'anni fa, con “Ten” – l'album di debutto registrato tra il 27 marzo e il 26 aprile del 1991 e pubblicato il 27 agosto dello stesso anno – irrompeva nella cosiddetta scena grunge di Seattle.

1991-2011. Da Ten a Twenty, vent'anni di denunce
Come molte delle band che si sono formate a Seattle dalla seconda metà degli '80 e per tutto il decennio successivo, anche i Pearl Jam erano principalmente interessati a fare musica e gridare attraverso il suono rude e sporco di chitarre distorte il proprio dissenso nei confronti del sistema politico e culturale del momento. I testi di Eddie Vedder, che vennero incorporati alle canzoni strumentali che la band aveva prodotto prima del suo arrivo, ruotavano intorno a temi come la depressione, il suicidio, la solitudine e l'omicidio. “Even Flow” affrontava il problema dei senzatetto, “Why Go” puntava il dito sugli ospedali psichiatrici mentre “Jeremy”, il terzo singolo estratto dall'album, traeva ispirazione dalla storia vera di un quindicenne di nome Jeremy Wade Delle, che una mattina di gennaio del 1991 si era sparato in bocca di fronte alla professoressa d'inglese e ai suoi compagni di scuola. La formula si ripeté nei dischi successivi. “Vs.”, uscito nel 1993, parlava di abuso sui minori, della cultura americana delle armi da fuoco e di razzismo poliziesco. In “Vitalogy”, terzo album di studio, l'attenzione si sposta sulle logiche dell'industria musicale, rea di vendere e sfruttare i giovani; in “No Code”, uscito nel 1996, si parla spiritualità, morale e auto-esame; nel successivo “Yield” la rabbia diventa riflessione. Raggiunta l'età adulta Vedder capisce che è necessario esprimere l'energia in modo diverso e cercare di trovare una soluzione allo “schifo” che la band prova nei confronti del sistema. La critica sociale, di fatto, è presente in tutti gli album dei Pearl Jam che un anno dopo gli eventi non persero l'occasione di dire la loro sugli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 con il disco “Riot Act”, che in scaletta vantava un brano con un titolo come “Bu$hleaguer”. Di maggiore respiro è “Backspacer”, l'ultimo disco pubblicato nel 2009, che secondo Vedder deve la sua positività all'arrivo alla Casa Bianca del presidente Barack Obama.

Cameron Crowe presenta: Pearl Jam
Le canzoni e i testi dei Pearl Jam hanno ovviamente un ruolo fondamentale nel film diretto da un grande appassionato di musica come Cameron Crowe. Non poteva essere che lui a firmare il documentario che raccoglie in immagini vent'anni di storia della band di Seattle. In fondo proprio lui, che da giovane si era lanciato all'inseguimento dei suoi gruppi preferiti nelle vesti di giornalista musicale, nel 1992 aveva dato alla luce del proiettore Singles, un film corale, romantico e a tratti cinico, ambientato nella piovosa e musicalmente fertile città dello stato di Washington. Tanti dei musicisti che avevano contribuito al suono di Seattle, tra i quali gli stessi Pearl Jam, comparivano in questa commedia che nel raccontare una generazione posava lo sguardo su una scena che da lì a poco sarebbe scomparsa. Qualche mese prima dell'uscita del film in sala di Singles, uno dei protagonisti del cosiddetto grunge, Layne Staley, leader degli Alice In Chains, veniva stroncato dalla droga; un paio di anni più tardi se ne andava un altro grande punto di riferimento del grunge, Kurt Cobain dei Nirvana, e pian piano, dietro le lamentele delle band rimaste che non volevano essere associate al genere, il termine grunge smise di comparire nelle riviste specializzate. Dunque con PJ20, attraverso materiale d'archivio, interviste ed estratti da concerti, Crowe fotografa un'epoca oltre che la carriera dei Pearl Jam. E lo fa quasi da fan, prima che da cineasta. Nel raccontare l'evoluzione del quintetto di Seattle, il regista s'incarica di dare voce ai seguaci della band, in un tributo che dopo la notte di domani verrà programmato regolarmente nei cinema a partire dal 23 settembre per poi uscire in dvd a fine ottobre. Enjoy.

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