Con lo spettacolo tutto azione di Harry Potter e i doni della morte - Parte II si chiude la saga nata dalla penna di J.K. Rowling: otto film che hanno calato il pubblico in un reame magico, pieno di invenzioni rese possibili grazie agli effetti visivi. In questo senso l’ultima pellicola ha posto ai creatori sfide senza precedenti, a partire da quel 3D abbandonato per i doni della morte - Parte I, e introdotto ora nella speranza mai nascosta dai produttori di poter rieditare in futuro in tre dimensioni gli altri sette capitoli, quanto meno per un’uscita in Blu-Ray. Un tentativo che rivela luci e ombre, fin dalla scelta di non presentare l’inquadratura totalmente a fuoco, ma divisa in piani: così capita che a volte parlino personaggi totalmente sfocati perché sullo sfondo o che il punto di fuoco sia individuato in modo non ottimale (come nel caso della scena di Olivander, in cui il letto è a fuoco e il commerciante di bacchette non del tutto). È proprio quello della messa a fuoco il problema principale di questa conversione 3D, eseguita per Warner ancora una volta da Prime Focus (oltre che da Gener8 3D), che pur non ripetendo gli esiti catastrofici di Scontro tra Titani tuttavia non convince: i personaggi al centro della scena non paiono mai veramente nitidi, tranne nella sequenza all’interno della stanza delle necessità e in alcuni momenti nel finale, e in generale si ha l’impressione di guardare la scena attraverso un velo o talvolta una palla di vetro deformante. Meglio gestita appare la calibrazione della luminosità, con una fotografia efficace anche nelle scene più buie (nonostante la riduzione di luce causata dagli occhialini), mentre è davvero apprezzabile lo sforzo di sfruttare lo spazio offerto dal 3D: non solo nella sequenza da “montagne russe” per entrare nella camera blindata della Banca Gringott, ma anche nel caos che si scatena tra gli studenti di Hogwarts, nell’inquadratura delle scale a chiocciola o nella carrellata tra le statue della scuola di magia.
Il film è anche una festa per gli occhi grazie ai numerosi effetti visivi che hanno richiesto il lavoro di ben 14 società, tra cui le celebri Double Negative (Inception), Tippett Studio (Hellboy), Lola (Captain America), Framestore (Sherlock Holmes) e MPC (Lanterna Verde). È particolarmente riuscita l’illuminazione digitale, il cosiddetto lighting, diretto anche dall’italiano Roberto Clochiatti, soprattutto nella scena dei bagliori provocati dallo scudo magico posto a protezione di Hogwarts, nell’incontro tra Harry e Silente in un’abbacinante King’s Cross e nei consueti lampi scagliati dalle bacchette. Uscito di scena Dobby, il suo posto come digital character viene preso dal drago a guardia della Gringott, realizzato in maniera convincente, e dai giganti che attaccano Hogwarts: creati incollando le gambe di attori sui trampoli a corpi e teste interamente digitali, si muovono con un leggero effetto di stop motion, quasi fossero un omaggio a Ray Harryhausen. E se la scelta di realizzare Hogwarts in digitale e non con un modellino aggiunge dinamismo alle scene attorno al castello e nel cortile, la palma di miglior scena a base di effetti del film va all’incendio nella stanza delle necessità: le fiamme realizzate al computer sono dense, ricche, credibili e spaventose persino quando lasciano intravedere delle figure animali al proprio interno, segno che nel campo delle simulazioni (acqua, fuoco, fumo, ecc.) gli effetti visivi hanno ormai raggiunto un livello di eccellenza.
L’invecchiamento di Harry, Hermione, Ron, Draco e gli altri che chiude la saga, pur accentuato dall’uso del computer, non stona né pare del tutto convincente (gli attori non dimostrano l’età che hanno), mentre è piuttosto ridicolo il risultato del ringiovanimento e dimagrimento di Alan Rickman, nei flashback in cui si svela la sua relazione con la madre di Harry, scene che però rimangono tra i momenti più commoventi e visivamente riusciti del film.