albe
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martedì 23 dicembre 2008
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intenso poetico meraviglioso
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Premetto che io 5 stelle le non le regalo senza motivo. Questo film è grande, per molti motivi.
Ogni persona tende a giudicare la follia che porta alla vera libertà con prospettive differenti: chi condanna la fuga dalla società, chi invidia il coraggio di abbandonare le comodità della propria famiglia, chi si lascia affascinare dallo spirito d'avventura on the road. Quel che è certo è che quanto vedrete vi darà parecchio materiale di riflessione. Forse vi commuoverà, o forse non accetterete mai che si finisca per cercare la morte per mano di una natura sevaggia perfettamente evitabile nel mondo civile. McCandless si riappropriò di tutta l'immensa comunanza con la natura dei nostri più remoti antenati, e insieme, di tutti i rischi racchiusi in tale purezza.
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Premetto che io 5 stelle le non le regalo senza motivo. Questo film è grande, per molti motivi.
Ogni persona tende a giudicare la follia che porta alla vera libertà con prospettive differenti: chi condanna la fuga dalla società, chi invidia il coraggio di abbandonare le comodità della propria famiglia, chi si lascia affascinare dallo spirito d'avventura on the road. Quel che è certo è che quanto vedrete vi darà parecchio materiale di riflessione. Forse vi commuoverà, o forse non accetterete mai che si finisca per cercare la morte per mano di una natura sevaggia perfettamente evitabile nel mondo civile. McCandless si riappropriò di tutta l'immensa comunanza con la natura dei nostri più remoti antenati, e insieme, di tutti i rischi racchiusi in tale purezza. Ogni giorno cambiare orizzonti: una libera vita vissuta fino all'ultima goccia.
Cosa chiediamo noi persone comuni per essere felici?
Cosa chiedono i veri spiriti liberi, pazzi, sognatori?
I contenuti filosofici di questo film possono dividere, ma il pubblico non può negare come la natura, emblema di una vita priva di contaminazioni, sia mostrata in tutta la sua forza tra estrema felicità e estremo dolore.
Imperdibile.
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fucsia
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mercoledì 11 marzo 2009
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il conformista
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Senza saperlo Mc Candless ha dato vita al protagonista più conformista che la storia del cinema ricordi. Anelito di libertà? Anelito di normalità piuttosto! Il suo gesto è il gesto che ciascuna persona anonima e normale farebbe.... il coraggio e la vita è ben altro. Fuggire è sinonimo del suo essere pavido e del grande egoismo che lo pervade. A quell'età ci si crede al centro del mondo...l'età della stupidità infatti...e l'egoismo e la superficialità la fanno da padroni. Per fortuna si cresce e ci lascia alle spalle il nulla del ragazzino Mc Candless
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(di georgia)
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mikelangelo
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martedì 1 settembre 2009
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il viaggio come metafora di vita
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“La vera essenza dell'uomo sta nelle nuove esperienze”. E' questa una delle frasi più celebri e allo stesso tempo più profondamente poetiche di Christopher McCandless, un giovane benestante, che sentendosi affogato dall'ipocrisia e dai falsi valori di una società dedita quasi esclusivamente al consumismo, decide di intraprendere un viaggio verso confini del mondo, lì nell'Alaska, in mezzo al niente, per comprendere la vera essenza della vita. Servirsi del niente per arrivare al tutto, è questo secondo Chris il modus vivendi per afferrare la verità. La travolgente e radicale esperienza di questo ventenne è stata romanzata da Jon Krakauer grazie al best seller “Nelle terre estreme”. Into the Wild ne è la trasposizione cinematografica.
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“La vera essenza dell'uomo sta nelle nuove esperienze”. E' questa una delle frasi più celebri e allo stesso tempo più profondamente poetiche di Christopher McCandless, un giovane benestante, che sentendosi affogato dall'ipocrisia e dai falsi valori di una società dedita quasi esclusivamente al consumismo, decide di intraprendere un viaggio verso confini del mondo, lì nell'Alaska, in mezzo al niente, per comprendere la vera essenza della vita. Servirsi del niente per arrivare al tutto, è questo secondo Chris il modus vivendi per afferrare la verità. La travolgente e radicale esperienza di questo ventenne è stata romanzata da Jon Krakauer grazie al best seller “Nelle terre estreme”. Into the Wild ne è la trasposizione cinematografica. Tutto nel film funziona alla perfezione. Sean Penn si rivela un regista eccellente, in grado di captare le magnifiche atmosfere del libro, riconfermando ancora una volta il suo straordinario talento visivo. Ritrarre la stupefacente bellezza dei paesaggi americani, in tutta la loro selvaggia asperità, è stato da sempre una sorta di piacevole leitmotiv nel cinema d'oltreoceano, ma raramente si sono raggiunte vette di tale perfezione. La grandiosità della regia è stata ancor più accentuata dall'ottima prova degli attori. In primis abbiamo il protagonista, Emile Hirsh che riesce a rendere il proprio personaggio unico, senza mai farlo cadere negli stereotipi del genere, che lo vorrebbero come un ragazzino infatuato fino al midollo dall'ideologia hippie. Christopher McCandless non è nulla di tutto questo. Assomiglia infatti molto più ad un tormentato eroe romantico (il film si apre con un verso di Lord Byron), che ad un borghesuccio divenuto figlio dei fiori semplicemente per contrastare la noia e per fare una capatina a Woodstock. Anche i personaggi secondari, che il protagonista incontrerà nel cammino verso la meta finale, sono ritratti con estrema cura dei particolari. Dalla coppia di viaggiatori su gomma, all'agricoltore del South Dakota, alla ragazza che vive con i genitori nel gigantesco e semi deserto campo hippie. Ogni incontro diviene memorabile. Tuttavia, il più stupefacente rimane l'ultimo, quello tra Christopher e un anziano portatore della più sana e leggermente reazionaria ideologia americana. L'ottantenne ospitò il giovane per due settimane, trattandolo come se fosse un figlio, e quando venne a sapere della sua morte nelle terre estreme dell'Alaska, vendette la propria casa, comprò un camper e cominciò a girare per gli Stati Uniti. Così come avrebbe voluto Christopher. On the road.
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danilodac
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mercoledì 24 marzo 2010
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into the wild- il moderno classicismo di penn
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Tratto dal romanzo di John Krakauer, Into the wild rappresenta, sotto le cadenze di un film on the road, un potente ritratto dell'anima; caratterizzato da un passo lento ma deciso, la sceneggiatura di Sean Penn - come pure la regia - adotta uno stile classico e originale al tempo stesso, frutto di una serie di esperienze cinematografiche qui abilmente integrate. Nel tracciare la figura di un giovane smanioso di trovare la libertà, Penn costruisce un film antropologico che si presta a diverse chiavi di lettura: politica, filosofica, religiosa, sociologica.
Un'opera sincera, coraggiosa. A tratti divertente ed euforica in superficie, ne rivela in seguito il carattere amaro e dolente. I paesaggi, bellissimi e splendidamente fotografati da Eric Autier, riflettono l'interiorità del protagonista lungo tutto il suo cammino.
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Tratto dal romanzo di John Krakauer, Into the wild rappresenta, sotto le cadenze di un film on the road, un potente ritratto dell'anima; caratterizzato da un passo lento ma deciso, la sceneggiatura di Sean Penn - come pure la regia - adotta uno stile classico e originale al tempo stesso, frutto di una serie di esperienze cinematografiche qui abilmente integrate. Nel tracciare la figura di un giovane smanioso di trovare la libertà, Penn costruisce un film antropologico che si presta a diverse chiavi di lettura: politica, filosofica, religiosa, sociologica.
Un'opera sincera, coraggiosa. A tratti divertente ed euforica in superficie, ne rivela in seguito il carattere amaro e dolente. I paesaggi, bellissimi e splendidamente fotografati da Eric Autier, riflettono l'interiorità del protagonista lungo tutto il suo cammino. Nonostante la lunghezza e qualche impercettibile dose di ruffianeria, funziona, coinvolge, sorprende e commuove. È un inno alla libertà e alla gioia di vivere, un trattato sulla consapevolezza di essere uomini e non dei meccanici prodotti della nostra società. Sullo sfondo di una natura pura, incontaminata dalle scorie nocive dell'umana società, Penn avanza una tesi utopica sulla volontà di riuscire a cambiare la propria posizione, sociale e morale, politica e spirituale: nel farlo, si sente la mano di un regista energico, che rifiuta qualsiasi inibizione, instaurando la consapevolezza di ricevere un messaggio, più o meno interpretabile, deciso, forte, sincero. Nello scavare a fondo sulle complesse ragioni che portano Chris a svegliarsi da un opprimente incubo ad occhi aperti, la sceneggiatura procede lentamente, lasciando ampio spazio ad aneddoti crepuscolari e malinconici, creando un'atmosfera di rara suggestione. Non vi sono compiacimenti in questa solitaria e impassibile odissea dello spirito ma solo un'autentica gioia di narrare e mostrare, eliminando costantemente il dubbio di qualsiasi indecisione stilistica. Nell'affrontare alcuni temi (rapporto con la famiglia, voglia di evadere, critica alla società) può risultare a tratti forzata e programmatica la sua struttura, ma sono difetti che si dissolvono subitamente nella grazia di un tocco magico, diretto e inimitabile.
Attraverso una calcolata naturalezza, una sensibilità ipereccitata e uno sguardo lucido, lo spettatore si immedesima facilmente nel protagonista, provando piacere nel partecipare attivamente al suo vagabondaggio reale, morale ed esistenziale. Penn partecipa con il suo carattere onnivoro, utilizzando tutte le cifre stilistiche a sua disposizione: primi piani, ralenty, split-screen, carrellate aeree. Un'ammirevole tecnica di brio audiovisivo che, sorprendentemente, stimola lo spettatore in più di un'occasione, come nella memorabile scena in cui un orso fiuta il protagonista, lo guarda e lo lascia libero: la natura, più che cattiva, è impassibile al suo destino.
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gian andrea
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domenica 17 febbraio 2008
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un percorso iniziatico... senza approdo mistico
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Partiamo dalla morte del giovane protagonista.
Raramente la morte viene oggi raccontata con tanta intensità come avviene in questo film dove tutto il passato, il presente, i sogni, le aspirazioni ritornano in un flash-back vertiginoso alla mente del giovane Christopher McCandless “claustralmente” isolato nel bus abbandonato su di una landa nevosa e desolata. Il bus appare uno straordinario simbolo dell'ineluttabile contrasto tra civilta' e natura, vita selvaggia e mondo moderno: un contrasto tipicamente occidentale, che pure il ribelle e anticonvenzionale Sean Penn, come i suoi epigoni letterari (Toreau, London, Tolstoi, Melville ecc.) non riesce completamente a superare.
In questa tensione tra aspirazione all’ assoluto, che e’ simbolizzata dalla immersione nella natura estrema, e il rifiuto della convenzione sociale si snoda la splendida ( figurativamente e per tensione drammatica) metafora di “Into the Wild”.
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Partiamo dalla morte del giovane protagonista.
Raramente la morte viene oggi raccontata con tanta intensità come avviene in questo film dove tutto il passato, il presente, i sogni, le aspirazioni ritornano in un flash-back vertiginoso alla mente del giovane Christopher McCandless “claustralmente” isolato nel bus abbandonato su di una landa nevosa e desolata. Il bus appare uno straordinario simbolo dell'ineluttabile contrasto tra civilta' e natura, vita selvaggia e mondo moderno: un contrasto tipicamente occidentale, che pure il ribelle e anticonvenzionale Sean Penn, come i suoi epigoni letterari (Toreau, London, Tolstoi, Melville ecc.) non riesce completamente a superare.
In questa tensione tra aspirazione all’ assoluto, che e’ simbolizzata dalla immersione nella natura estrema, e il rifiuto della convenzione sociale si snoda la splendida ( figurativamente e per tensione drammatica) metafora di “Into the Wild”.
La fuga di Chris non e’ una fuga dall’ umanita’ , che anzi e’ mirabilmente ritratta nelle figure dei successivi incontri umani di una sorta di percorso iniziatico “on the road” (il richiamo a Keruac e’ tutt’altro che casuale ) : Ron, il vecchio pieno di rimpianti e ”risvegliato” dalla fresca schiettezza del protagonista, Tracy la cantante country in erba che si innamora di lui, Rainey e Jan , i due tardo-hyppies che lo adottano suo malgrado.
La sua forse non e’ neppure (se non all’ inizio quando si allontana dai suoi “impossibili genitori”) una fuga bensi’ un “andare oltre” … procedere verso una sintesi assoluta, di natura mistica, possibile solo in un rapporto diretto , ma ineluttabilmente individuale, con la realta’ ultima.
E qui sta il suo scacco finale ( mirabilmente rappresentato da una regia ispirata e capace di immagini indimenticabili) : l’ impossibilita’ di andare oltre il se individuale , impossibilità che e’ comune retaggio di tutta la cultura occidentale.
Sean Penn, che pure probabilmente ha qualche simpatia buddista
( si chiama Mandala Ray , il ristorante decorato come un tempio buddista, da lui fondato con Johnny Depp e John Malkovich a Parigi), si e’, forse, fermato agli aspetti piu esteriori di una visione del mondo che attinge alla filosofia orientale (ma che non e’ lontana dalle conclusioni di molti mistici “occidentali”) e che potrebbe consentire un diverso tentativo di risposta.
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ciro
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martedì 11 marzo 2008
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un viaggio emozionante, ma quante parole…
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L’idea della fuga portata alle estreme conseguenze. A realizzarla, un giovane brillante e intelligente, laureato e benestante, ma non per questo soddisfatto della propria esistenza. Anzi, talmente inquieto da prendere la drastica decisione di mollare tutto e partire alla volta dell’Alaska. E quando dico tutto intendo tutto: documenti stracciati, soldi bruciati, ogni legame familiare troncato.
L’ultimo film di Sean Penn è il più classico dei road-movie. Un lungo viaggio attraverso l’America da est a ovest, durante il quale si entra in contatto con realtà distanti ed opposte tra loro: dal Midwest rurale e genuino ai grandi spazi incontaminati del Sud-Ovest; dalla caotica e corrotta Los Angeles alle piccole contee di provincia.
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L’idea della fuga portata alle estreme conseguenze. A realizzarla, un giovane brillante e intelligente, laureato e benestante, ma non per questo soddisfatto della propria esistenza. Anzi, talmente inquieto da prendere la drastica decisione di mollare tutto e partire alla volta dell’Alaska. E quando dico tutto intendo tutto: documenti stracciati, soldi bruciati, ogni legame familiare troncato.
L’ultimo film di Sean Penn è il più classico dei road-movie. Un lungo viaggio attraverso l’America da est a ovest, durante il quale si entra in contatto con realtà distanti ed opposte tra loro: dal Midwest rurale e genuino ai grandi spazi incontaminati del Sud-Ovest; dalla caotica e corrotta Los Angeles alle piccole contee di provincia. Luoghi dunque, ma anche persone: figli dei fiori reduci del sessantotto, diseredati, una giovane coppia di danesi anch’essa in fuga non si sa bene da cosa, agricoltori delle grandi pianure, anziani reduci di guerra. Insomma, un melting pot di contesti e personaggi che, come si addice a questo sottogenere tipicamente Made in USA, vorrebbe essere metafora della società americana, nonché delle sue mille sfaccettature e contraddizioni.
Il film, però, è anche suoni e parole. Tante. Forse troppe. A mio parere, ciò che si può obiettare ad una pellicola che – diciamolo chiaramente per non essere fraintesi – resta senza dubbio molto bella, sta nella martellante presenza di una voce fuori campo che depotenzia la poeticità delle immagini, ed in una colonna sonora talmente onnipresente da risultare in alcuni momenti persino irritante. Nessuno osa mettere in discussione la qualità delle musiche di Eddie Vedder, ma il tutto finisce con il risultare eccessivamente didascalico: un’epopea né epica né elegiaca, ma semplicemente avventurosa, come tante altre volte si è vista sullo schermo. Un’avventura bellissima ed emozionante, ma spogliata in maniera quasi assoluta di ogni forma di spiritualismo: ecco dunque che se il silenzio fosse stato scelto per “commentare” le straordinarie sequenze che mostrano l’America più selvaggia e remota, il film avrebbe assunto quelle note di introspezione e lirismo in grado di rendere l’intera opera più solida e coerente. Non è un caso che i momenti migliori del film siano quelli ambientati in Alaska, meta ultima, e tragica, di Christopher McCandless “Supertrump”, che rompendo la linearità temporale della narrazione filmica, consentono attimi di fuga anche allo spettatore.
Si resta pertanto affascinati dal film, ma ci si domanda cosa ne sarebbe uscito fuori se a decidere di tradurre in immagini l’omonimo romanzo di Jon Krakauer fosse stato Terrence Malick: con molta probabilità, staremmo qui a scrivere e parlare di uno dei più grandi capolavori della storia del cinema.
Sean Penn è senza dubbio regista capace, e sa quali tasti premere per emozionare il pubblico. Deve solo capire che, a volte, basta premerne uno alla volta.
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duda
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venerdì 28 marzo 2008
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fuggire
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Il viaggio di Christopher McCandless (Emile Hirsch) è diverso da quello di fine college che tutti i neodiplomati aspettano con ansia. Il suo è dettato dalla forte volontà di non essere omologato nella società borghese, che lo vuole veder guidare la macchina nuova, premio ai suoi pieni voti, e indossare la maglia di Harvard. Il rifiuto per il consumismo imperante, e il bisogno di entrare in contatto con la Natura che non gli è familiare lo spingono a partire per tre anni senza soldi e senza amici, con l’obiettivo di raggiungere l’Alaska e il suo paesaggio incontaminato.
Il film è tratto dal libro di Jon Krakauer, di cui il regista Sean Penn ha messo in scena gli episodi più significativi, rielaborandoli in un racconto che diventa anche un po’ suo.
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Il viaggio di Christopher McCandless (Emile Hirsch) è diverso da quello di fine college che tutti i neodiplomati aspettano con ansia. Il suo è dettato dalla forte volontà di non essere omologato nella società borghese, che lo vuole veder guidare la macchina nuova, premio ai suoi pieni voti, e indossare la maglia di Harvard. Il rifiuto per il consumismo imperante, e il bisogno di entrare in contatto con la Natura che non gli è familiare lo spingono a partire per tre anni senza soldi e senza amici, con l’obiettivo di raggiungere l’Alaska e il suo paesaggio incontaminato.
Il film è tratto dal libro di Jon Krakauer, di cui il regista Sean Penn ha messo in scena gli episodi più significativi, rielaborandoli in un racconto che diventa anche un po’ suo. L’avventura del giovane Alex Supertramp (super camminatore, come lui si fa chiamare), che sullo schermo ci coinvolge per oltre due ore, è piena di pathos, spesso molto americano.
suggestiva l'interpretazione di Al Holbrook nei panni del vecchio saggio che Chris incontra lungo il cammino. Sarà suo il timido tentativo di imbrigliare il ragazzo un’ultima volta in legami familiari, prima di vederlo fuggire definitivamente verso la libertà assoluta.
Sean Penn, dopo aver aspirato per più di dieci anni alla realizzazione di questo film, riesce nel suo intento in modo straordinario. Alternando alle ampie vedute paesaggistiche, sempre piene di forza e di energia, i primi piani sugli attori, i cui dialoghi rispecchiano uno stile asciutto e autentico, fa nascere, magari soltanto per la durata del film, il desiderio di condividere con lui la tensione verso un modo di vivere più vero e appagante.
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robert
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domenica 22 marzo 2009
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la banalità non fa proseliti
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Ho appena terminato di vederlo per la seconda volta in replica su Sky e pensavo ci fosse qualcuno che ingenuamente si fosse lasciato coinvolgere dal superficiale spirito di avventura del protagonista ma, per fortuna, scopro che non ci sono proseliti che come Mc Candless hanno la superficialità come portabandiera. Banalità e superficialità, come finirà per scoprire un disarmante e poco intelligente Mc Candless, non portano da nessuna parte. Non ci voleva certo un viaggio in Alaska per capirlo e per mangiarsi foglie avvelenate ma....l'idiozia è dietro l'angolo e di idiozia si perisce. Regia non un granchè. Fotografia: non ci voleva grande sforzo a ricavare buone immagini ma diciamo ok. Montaggio: pessimo.
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Ho appena terminato di vederlo per la seconda volta in replica su Sky e pensavo ci fosse qualcuno che ingenuamente si fosse lasciato coinvolgere dal superficiale spirito di avventura del protagonista ma, per fortuna, scopro che non ci sono proseliti che come Mc Candless hanno la superficialità come portabandiera. Banalità e superficialità, come finirà per scoprire un disarmante e poco intelligente Mc Candless, non portano da nessuna parte. Non ci voleva certo un viaggio in Alaska per capirlo e per mangiarsi foglie avvelenate ma....l'idiozia è dietro l'angolo e di idiozia si perisce. Regia non un granchè. Fotografia: non ci voleva grande sforzo a ricavare buone immagini ma diciamo ok. Montaggio: pessimo. Film che non consiglierei a meno che non si abbia come alternativa da vedere qualche trasmissione Defilippiana...allora tanto vale farsi del male con quest'inutile Into the wild
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alfredik
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venerdì 15 febbraio 2008
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per chi ama il "cinema"
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Christopher McCandless è un ragazzo di vent'anni, appena diplomato che grazie ai suoi voti alti avrebbe l'ingresso ad Harward assicurato. I suoi risparmi sulla borsa di studio( circa 24.000 usd ) e l'ulteriore contributo da parte della famiglia diventerebbero il mattone e la malta per iniziare a costruire un brillante futuro.
Evidentemente Christopher McCandless non vuole più assecondare le aspettative dei suoi genitori. Il suo rifiuto di accettare lo stereotipo della middle class americana, ma soprattutto la non accettazione del dolore profondo causatogli da un educazione basata sui valori del conformismo e quindi arida di amore, lo condurranno ad intraprendere un viaggio che assumerà i contorni di una vera e propria fuga dal mondo reale e perfino da se stesso; taglia le sue carte di credito la sua driving licence, brucia la sua carta di identità, la sua tessera sanitaria e devolve in beneficenza i 24.
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Christopher McCandless è un ragazzo di vent'anni, appena diplomato che grazie ai suoi voti alti avrebbe l'ingresso ad Harward assicurato. I suoi risparmi sulla borsa di studio( circa 24.000 usd ) e l'ulteriore contributo da parte della famiglia diventerebbero il mattone e la malta per iniziare a costruire un brillante futuro.
Evidentemente Christopher McCandless non vuole più assecondare le aspettative dei suoi genitori. Il suo rifiuto di accettare lo stereotipo della middle class americana, ma soprattutto la non accettazione del dolore profondo causatogli da un educazione basata sui valori del conformismo e quindi arida di amore, lo condurranno ad intraprendere un viaggio che assumerà i contorni di una vera e propria fuga dal mondo reale e perfino da se stesso; taglia le sue carte di credito la sua driving licence, brucia la sua carta di identità, la sua tessera sanitaria e devolve in beneficenza i 24.000 usd che aveva risparmiato, per ritagliarsi una spazio in questo mondo con la nuova identità di Alexander Supertramp ovvero " il grande camminatore ".
Non potrei aggiungere altro sullo svolgimento del film perchè è un piccolo capolavoro che consiglio vivamente a tutti di vedere, un poema epico dove il dolore, la libertà, la ricerca della felicità, l'amore, la famiglia, l'istinto della sopravvivenza e la lotta contro la legge della natura che non accetta compromessi sono raccontati con la delicatezza di chi non vuole fare moralismi o denunce di alcun genere.
Sean Penn usa le immagini per lasciarci incantati di fronte alla bellezza e alla spettacolarità dei processi naturali che regolano questo mondo; e ci accompagna in questo percorso con le struggenti ballate folk di Eddie Vedder voce ed icona dei Pearl Jam, tra le quali vorrei segnalare la bellissima Society, in collaborazione con Jerry Hannan cantautore ed attore americano di origine irlandese molto noto sulla scena di San Francisco, il quale ne ha scritto il testo.
Andatelo a vedere!
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[+] chi ama il cinema
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sixy89
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sabato 9 ottobre 2010
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consumismo vs naturalezza
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Into the Wild è una poesia in pellicola, il paradosso dell'era moderna che scinde l'uomo nato nella natura da quello che è diventato, crogiolandosi in un mondo fittizio da sè stesso creato, fatto da titoli di studio, usanze, costumi, ecc.
Chris, il protagoista della storia, stufo della cattiveria dell'uomo moderno che venera il dio il denaro e costruisce la propria vita in funzione di esso, decide di fuggire e vivere la sua vita immerso nella natura selvaggia, senza regole, ne artifizi umani.
Un'opera poeatica, affascinante, mai banale o noiosa, che per quelle due ore libera nello spettatore quella naturale voglia dell'essere umano di liberarsi di tutto e perdersi nella bellezza e rudezza del mondo animale.
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Into the Wild è una poesia in pellicola, il paradosso dell'era moderna che scinde l'uomo nato nella natura da quello che è diventato, crogiolandosi in un mondo fittizio da sè stesso creato, fatto da titoli di studio, usanze, costumi, ecc.
Chris, il protagoista della storia, stufo della cattiveria dell'uomo moderno che venera il dio il denaro e costruisce la propria vita in funzione di esso, decide di fuggire e vivere la sua vita immerso nella natura selvaggia, senza regole, ne artifizi umani.
Un'opera poeatica, affascinante, mai banale o noiosa, che per quelle due ore libera nello spettatore quella naturale voglia dell'essere umano di liberarsi di tutto e perdersi nella bellezza e rudezza del mondo animale.
Voto:10
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