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Ultimo aggiornamento giovedì 14 gennaio 2021
Dal romanzo autobiografico dello scrittore di fantascienza J. C. Ballard. Un ragazzino inglese durante l'evacuazione di Shanghai, invasa dalle truppe giapponesi, viene separato dai genitori. Il film ha ottenuto 6 candidature a Premi Oscar, 2 candidature a Golden Globes,
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Shanghai, 1941. James Graham ha dodici anni ed è figlio di un ricco industriale tessile. Quando le truppe giapponesi entrano nella città la vita del ragazzino muta di colpo. Persi di vista i genitori nella fuga in mezzo alla folla, si ritroverà solo e costretto, per la prima volta, a cercare soluzioni non solo per vivere ma per sopravvivere.
Ispirandosi al romanzo, in gran parte autobiografico, di James G. Ballard, Spielberg affronta per la prima volta in modo serio (1941 si muoveva seguendo linee narrative del tutto differenti) il tema della guerra che da questo momento tornerà più volte nella sua filmografia.
Lo fa dopo aver realizzato Il colore viola e prima di impegnarsi sul remake di Joe il pilota (Always-Per sempre) dimostrando ancora una volta, sempre che ce ne fosse bisogno, un eclettismo registico che al contempo non difetta di tematiche e 'luoghi' che ne costituiscono una marca di riconoscibilità autoriale.
A partire dall'attenzione all'infanzia che però qui cambia di segno. Perché se in E.T.L'extra-terrestre l'empatia con il piccolo Elliott era immediata il James (che diventerà Jim) di un Christian Bale quasi all'esordio non è particolarmente simpatico. Lo schiaffo che riceve dalla cameriera quando rientra nella sua casa devastata la dice lunga sui suoi comportamenti antecedenti. Proprio per questo la sua odissea nel conflitto acquisisce un maggiore valore di denuncia. Non è necessario che il protagonista sia 'simpatico' per mostrare la devastazione che un conflitto produce nell'animo dei più giovani costretti a diventare adulti troppo in fretta.
Sin da Duel Spielberg ci ha raccontato l'incombere di un elemento incontrollabile, difficile da collocare entro coordinate razionali. Poco importa che si tratti di un vecchio camion di cui non si scorge il guidatore, di uno squalo o di una guerra che travolge ogni parametro fino ad allora apparentemente consolidato. Ciò che a Spielberg interessa è come uscirne. Talvolta più forti, talaltra no ma come sempre e irrimediabilmente segnati nell'intimo.
Ci sono scene che restano nella memoria in questo film e non sono solo quelle legate ad eventi universalmente noti come l'atomica di Hiroshima. Sono quelle più vicine alle passioni del regista. Sarà sufficiente citarne due: la fascinazione del volo con quel saluto militare scambiato tra Jim e i kamikaze in cui si attua un reciproco riconoscimento e lo sguardo che nel finale intercorre tra i protagonisti a segnare un ferita e una cesura non più rimediabili per ricordarci come l'infanzia vada sempre e comunque preservata se non si vuole avere in prospettiva un futuro abitato da un'umanità eticamente più povera.
L’impero del sole è una saga sulla perdita dell’innocenza. Racconta un percorso di formazione che traghetta il protagonista dai 12 anni, da un’infanzia agiata e sognatrice, ai 16 anni, a una matura, cosciente adolescenza, passando attraverso le necessità e le incombenze materiali legate alla lotta per la sopravvivenza, attraverso la dolorosa esperienza degli orrori e delle ferite della guerra. Si tratta di una tragica caduta da una situazione di felicità e ricchezza (quella di “Jamie”), a una situazione di dolore e miseria (quella di “Jim”, versione proletaria e americanizzata di Jamie). La bomba di Hiroshima segna la fine di un percorso: per la Storia, per la vita di Jim, e per Spielberg, giunto a maturità cinematografica. Lo sguardo di Jim guida alla realistica rappresentazione delle tragedie belliche. Jim è una reincarnazione dei bambini del neorealismo italiano che, incapaci di re-agire, vagano donando la visione di un mondo di cose e sentimenti distrutti dalle crudeltà e insensatezze adulte. L’impianto realistico del film è illuminato da scene, visioni, epifanie immaginifiche che testimoniano la resistenza dello sguardo dell’infanzia, puro, incantato, sognatore. Jim abbandona l’incontaminato mondo dell’infanzia quando inizia a scoprire la realtà esterna, il mondo degli adulti, basato sulla violenza, sulla sopraffazione, sulla distruzione dei sogni. Da una parte c’è la sfera pratica, la realtà materiale (il mondo degli adulti), dall’altra la sfera immaginaria, la fantasia (il mondo dei bambini, la fuga dalla realtà, il sogno, la passione di Jim per il volo).
Dal romanzo autobiografico dello scrittore di fantascienza J. C. Ballard. Un ragazzino inglese durante l'evacuazione di Shanghai, invasa dalle truppe giapponesi, viene separato dai genitori. Passa alcuni anni in campo di concentramento, ma sopravvive. Si riunirà ai genitori e racconterà la storia. Grande spettacolo di uno Spielberg, sempre al top della bravura, con alcune sequenze straordinarie (l'evocazione della bomba atomica di Hiroshima).
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Anche con questo film Steven Spielberg ha fatto "centro"! Può sembrare irreale la storia di questo ragazzino che, pur non essendo riuscito a fuggire insieme ai genitori, non si perde d'animo, e si adatta atutto per sopravvivere, anche a mangiare i vermi! Diventa un astuto commerciante ma sempre buono in fondo all'animo, e non può mancare l'happy-end della riunione [...] Vai alla recensione »
Struggente e molto coinvolgente : la poesia allo stato puro . L'ho visto varie volte e lo rivedrò ancora . Film nella mia vita ne ho visti migliaia , ma questo resta per me il numero uno in assoluto .
Un film abbastanza coinvolgente. Un ottimo Malkovic e un ottimo Christian Bale alle prime armi. Non ha una grandissima scorrevolezza ma lo consiglio comunque agli amanti di questo genere di film.
mah.. film che a me non ha fatto un grande effetto. Film piuttosto lungo e per me anche abbastanza vuoto e poco coinvolgente. bocciato su quasi tutta la linea. si salvano solo le ambientazioni all'inizio del film e un promettente e giovanissimo Christian Bale. Per il resto non è uno di quei film da rivedere
Riuscire di nuovo a raccontare storie: ecco a cosa mira il cinema di Steven Spielberg. Il colore viola (1986) è stato il suo primo tentativo di ricostruire l’impero del cinema classico - cioé "ingenuamente" narrativo - sulle rovine del nostro immaginario, crollato o perché ipercritico o perché imbarbarito dalla serialità televisiva, o forse per entrambi i motivi insieme.