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Il film è stato premiato al Festival di Cannes,
CONSIGLIATO NÌ
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La rivolta dei contadini ungheresi alla fine dell'Ottocento è vista e narrata dal regista del film con ritmi musicali che danno all'intera vicenda l'impronta di un rituale. Il primo tentativo di rivoluzione fallisce, ma lo spirito che anima gli uomini cova sotto la cenere pronto ad esplodere nuovamente.
Intorno al 1890 nella puszta ungherese, tra canti e danze, i braccianti agricoli sono in lotta per i propri diritti. Interviene un gruppo di soldati, pronti alla repressione violenta che, dopo un tentativo di fraternizzazione, eseguono. Una ragazza resuscita e, impugnata una pistola, uccide i soldati a uno a uno. Musical ideologico che, più che una vicenda, propone una serie di azioni, scandite in 27 piani-sequenza in cui la cinepresa di Jancsó (e dell'operatore János Kende) si muove con estrema fluidità danzante, combinando per la prima volta il movimento del carrello con quelli dello zoom e della gru. Pur avendo la struttura di una danza di morte, è uno dei più sereni film di Jancsó, quasi interamente risolto in una luminosa leggerezza che ha il suo limite nella compiaciuta contemplazione di una liturgia rivoluzionaria. Scritto da Gyula Hernádi. Il titolo originale Il popolo chiede ancora è tratto da un verso di Sandor Petöfi. Palma d'oro a Cannes, Leone alla carriera a Venezia 1990.