Anno | 1993 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Gran Bretagna |
Durata | 112 minuti |
Regia di | Peter Greenaway |
Attori | Ralph Fiennes, Julia Ormond, Philip Stone, Don Henderson . |
MYmonetro | 2,75 su 3 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 30 gennaio 2014
Siamo nel 1650. Una donna avanti negli anni partorisce un bambino. Le donne incapaci di procreare allora vogliono poterlo taccare.
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CONSIGLIATO SÌ
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Siamo nel 1650 e la cattedrale di Macon è testimone di un irreversibile decadimento. Una donna avanti negli anni partorisce un bambino. Le donne incapaci di procreare allora vogliono poterlo toccare. La figlia diciottenne dell'"anziana" finge di essere la vera madre e di essere anche vergine. Distrugge la propria famiglia. La Chiesa a sua volta sfrutta il bambino vendendo tutte le sue secrezioni. Allora la ragazza prende una decisione drastica che le costerà non poco.
E' un Greenaway uguale a se stesso e al contempo diverso quello che scrive e dirige questo film sulla base di una duplice suggestione non pittorica, come spesso gli è accaduto, ma pubblicitaria. Afferma infatti che l'idea gli è nata da un manifesto molto noto che aveva come soggetto un bambino e da una copertina del settimanale ELLE in cui compariva una top model che non aveva l'età per poter essere la madre del bambino dagli occhi blu che stringeva al suo abbondante petto. Entrambe le foto erano di Oliviero Toscani. Uguale a se stesso, si diceva, perché il gusto della provocazione continua a tenere banco nel suo cinema e qui viene portato all'eccesso quasi ci si andasse a cercare l'accusa di blasfemia con gli insistiti parallelismi con le Sacre Scritture. Greenaway però presenta anche un suo volto nuovo. Lo conosciamo come un autore che (escludendo dal novero I misteri dei giardini di Compton House) ha costantemente perseguito l'estetica della sovrabbondanza di suoni/rumori/forzature cromatiche. Nelle orge di decadenza e di barocchismi esasperati che costituivano l'ossatura di molti suoi film la cosiddetta trama veniva frammentata giungendo talvolta quasi a vanificarsi. In questo caso invece la 'storia' si rivela come un elemento importante che lo spettatore è invitato a seguire. Accade così che il tema dello sfruttamento degli innocenti diventi il cardine di una vicenda in cui teatro e spettatori (quelli sullo schermo e quelli davanti ad esso) vengono coinvolti in giudizio che, alla fine, potrebbe anche essere rimesso in discussione. Perché l'oggettività per questo Greenaway non esiste.
Questa volta Greenaway ha forse teso come non mai il filo della pazienza dello spettatore. Duro, cinico, blasfemo e statico, il film è una prova imbarazzante per chi scrive. Col tempo può darsi che si potrà stabilirne l'esatto valore. L'ispirazione comunque pare sia nata dalla Controriforma cattolica e da due foto di Toscani per la casa Benetton, che mercificherebbero l'infanzia. Siamo nel 1650 e la cattedrale di Macon è testimone di un irreversibile decadimento. Una donna avanti negli anni partorisce un bambino. Le donne incapaci di procreare allora vogliono poterlo taccare. La figlia diciottenne dell'"anziana" finge di essere la vera madre e di essere anche vergine. Distrugge la propria famiglia. La Chiesa a sua volta sfrutta il bambino vendendo tutte le sue secrezioni. Allora la ragazza uccide il bimbo soffocandolo. Per legge una vergine non può essere condannata a morte. Il vescovo dunque acconsente che venga stuprata da un centinaio di soldati. La storia è scandita in atti teatrali con pubblico che assiste alla rappresentazione, cosa non troppo originale. L'ultimo esempio del genere è L'ultima Salomè di Ken Russell, regista al quale Greenaway deve molto figurativamente.
Straordinario Peter Greenaway: nessuno come lui sa costruire un film in questo modo. Piani-sequenza eccezionali, costumi e scenografie che sembrano uscire da quadri di grandi autori, regia originale e inventiva. Eppure, nonostante questo, forse gli è un po' scappata la mano con "The Baby of Macon". Nella polemica - azzeccata - contro la Chiesa della Controriforma e la mercificazione [...] Vai alla recensione »
La sfida di Peter Greenaway, 51 anni, gallese, anche scrittore e pittore, debuttante nel cinema con I misteri del giardino di Compton House (1982), autore dello straordinario Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante (1989), è davvero temeraria. Più il cinema tende alla semplificazione naturalistica o fiabesca per avvicinarsi a un pubblico incolto, più i suoi film diventano elitari ed esigenti, fitti [...] Vai alla recensione »