Titolo originale | The Burnt Orange Heresy |
Titolo internazionale | The Burnt Orange Heresy |
Anno | 2019 |
Genere | Azione |
Produzione | USA |
Regia di | Giuseppe Capotondi |
Attori | Elizabeth Debicki, Donald Sutherland, Rosalind Halstead, Claes Bang, Mick Jagger Katie McGovern, Pat Starke, Flaminia Fegarotti, Alessandro Fabrizi, Alexia Murray. |
MYmonetro | 2,66 su 9 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 13 gennaio 2021
Una coppia di amanti si trova coinvolta in un furto d'arte. Al Box Office Usa La tela dell'inganno ha incassato 129 mila dollari .
CONSIGLIATO NÌ
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James Figueras è un noto critico d'arte che tiene lezioni su tutto ciò che sta dietro un dipinto e sul potere che ha la critica di convincere il pubblico della validità di un'opera: un potere che talvolta fa leva sulla menzogna. Durante una di queste lezioni l'uomo incontra Berenice Hollis, una ragazza americana affascinata dal bel critico e dalla sua competenza. James e Berenice finiscono a letto e lui la invita a trascorrere il fine settimana successivo nella villa di un facoltoso collezionista, Joseph Cassidy, che l'ha convocato per proporgli uno scoop: Cassidy intende infatti dare al critico la possibilità di intervistare Jerome Debney, un leggendario artista che non parla con i media da 50 anni, ovvero da quando un incendio ha distrutto tutte le sue opere, trasformando quella scomparsa nell'essenza stessa del suo gesto artistico. In cambio Cassidy vuole che Figueras rubi per lui uno dei quadri che Debney custodisce nel suo studio, in totale segretezza.
The Burnt Orange Heresy è un noir ambientato nel mondo dell'arte, del quale mette in evidenza tutta la spietatezza e l'ambizione.
Basato sul best seller omonimo firmato da Charles Willeford, questo film dal titolo incomprensibile (le cui iniziali però costituiscono un acronimo significativo) segna il ritorno al lungometraggio di finzione di Giuseppe Capotondi dopo La doppia ora, del quale riprende le atmosfere algide e rarefatte. Rispetto al romanzo di Willeford l'ambientazione si sposta dalla Florida alla Lombardia, fra Milano e il Lago di Como, ma resta fondamentalmente integra la struttura narrativa, che è la vera forza del film: una trama tesa e coerente che tratta i temi della verità e della menzogna costruendo un congegno ad orologeria nel quale i protagonisti restano incastrati, ognuno in ragione delle proprie debolezze personali. The Burnt Orange Heresy pone agli spettatori la domanda esistenziale: che cosa rimane dopo che sono cadute tutte le maschere? E incalza: come possiamo sopravvivere quando tutto ciò che ci resta in mano si rivela un pugno di mosche? Purtroppo però i dialoghi sono troppo verbosi e letterari, e nel caso di Berenice presuppongono un livello culturale davvero sofisticato, che la ragazza non potrebbe avere dato il suo background.
La regia ha ambizioni hitchcockiane evidenziate da dettagli come la pettinatura da "donna che visse due volte" di Berenice e un certo modo di allestire le scene di suspence, e la storia si collocherebbe con onore nel panorama del cinema di genere se non ci fosse a tre quarti una svolta che funzionava nel romanzo, ma è costruita cinematograficamente inserendo variabili visive e reazioni davvero inverosimili. La sequenza demolisce completamente la credibilità pazientemente costruita, creando un danno irreversibile all'insieme. È un peccato, perché fino a quel momento la qualità professionale della regia di Capotondi e dei contributi tecnici (in particolare la fotografia di David Ungaro e i costumi di Gabriella Pescucci), così come la recitazione di un cast interessante che comprende la luminosa Elizabeth Debicki (Berenice) e i due veterani Donald Sutherland (Debney) e Mick Jagger (Cassidy), avevano mantenuto gli standard ad un buon livello internazionale. The Burnt Orange Heresy avrebbe anche potuto dare il suo degno contributo al filone cinematografico ambientato nel mondo dell'arte figurativa, che conta esempi positivi come l'argentino Il mio capolavoro e negativi come l'italiano Colpo d'occhio, ma soprattutto avrebbe aggiunto il suo punto di vista sui rapporti fra artista e aspirante tale, che ha radici lontane (vedi certi racconti di Henry James) e ricadute assai attuali.
Le atmosfere ricordano un noir alla Hitchcock, ma bisogna far finta di credere che tutto ciò che vediamo sia plausibile. Un critico d' arte, grazie a un ricco collezionista (Jagger), ha la possibilità di intervistare un pittore leggendario, che da mezzo secolo non tratta con i media. Ci va con la fidanzata, ma, in realtà, ha in mente di rubare un quadro.
Sì, avete visto bene: quello a sinistra nella fotografia è Mick Jagger, in una scena del film "La tela dell'inganno". Il rocker britannico s'è sempre divertito a fare l'attore, e qui si ritaglia una parte piccola ma gustosa. In verità pensavo che il film del corinaldese Giuseppe Capotondi, classe 1968, visto fuori concorso alla Mostra di Venezia di due anni fa, fosse finito in qualche buco nero, specie [...] Vai alla recensione »
Sullo schermo nero risuona una musica di Handel. Con un lento carrello in avanti la macchina da presa percorre un corridoio oscuro avanzando verso la luce della finestra in fondo al campo visivo. Una voce off comincia a parlare: "Devo essere onesto. L'arte non esisterebbe senza la critica. Noi siamo gli argini che contengono il fiume dell'arte". Riflesso in uno specchio, di spalle, vediamo il personaggio [...] Vai alla recensione »
Se si inserisce il nome di Charles Willeford nel campo di ricerca del sito Feltrinelli escono una manciata di titoli di suoi libri tradotti in italiano e poi viene consigliato di leggere Charles Bukowski. Algoritmo burlone, ma non inopportuno. Erano entrambi colti e dai molteplici interessi intellettuali, ma Willeford non diventerà mai celebre come il collega barflyer e si dedicherà soprattutto all'hard [...] Vai alla recensione »
Quasi un remake di La migliore offerta di Giuseppe Tornatore, che strizza l'occhio alle eleganze lombarde di Luca Guadagnino. Tratto da Il quadro eretico di Charles Willeford, il film riflette sull'opera d'arte al tempo della sua riproducibilità tecnica e sulla funzione della critica. Un noir elegante anche se a tratti prevedibile; retto dalla buona prestazione di Claes Bang (che dopo The Square sembra [...] Vai alla recensione »
Che fine aveva fatto Giuseppe Capotondi? Formatosi nel mondo degli spot pubblicitari e dei videoclip musicali, negli ultimi anni si è cimentato nelle serie tv, dirigendo anche alcune puntate di Suburra. Il cinema sembrava essere stato messo da parte, fino a questo The Burnt Orange Heresy, titolo di chiusura del Festival di Venezia. Ci sono quindi voluti dieci anni di distanza dal suo esordio dietro [...] Vai alla recensione »
Qualunque significato abbia, «The Burnt Orange Heresy» (L'eresia dell'arancia bruciata) è un titolo bellissimo. Di certo, più del film che definisce, scelto (fuori Concorso) per far calare il sipario sulla Mostra del Cinema. Ricavato dal romanzo omonimo dello scrittore di culto Charles Willeford e sceneggiato da Scott B. Smith («Soldi sporchi», «Rovine»), è il secondo lungometraggio firmato dal marchigiano [...] Vai alla recensione »
Il potere della critica, quello che ormai non c'è più. In The Burnt Orange Heresy però per un attimo torna a vivere. Viene descritto come il ponte tra l'opera e il pubblico. Il regista Giuseppe Capotondi ne esalta anche la capacità di creare immaginari, e allo stesso tempo di fuorviare. L'analisi, la cultura, e poi la capacità retorica sono un mix letale per mescolare realtà e finzione.