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Rassegna stampa di Ermanno Olmi

Ermanno Olmi è un attore italiano, regista, produttore, co-produttore, scrittore, sceneggiatore, fotografo, montatore, scenografo, costumista, è nato il 24 luglio 1931 a Bergamo (Italia) ed è morto il 7 maggio 2018 all'età di 86 anni ad Asiago (Italia).

IDA BIONDI
MYmovies.it

Trasferitosi giovanissimo a Milano, si impiegò presso la Società Elettrica Edison-Volta, al cui interno creò una sezione cinematografica, la Sezione Cinema Edison-Volta, per la quale realizzò, negli anni dal 1952 al 1961, una trentina di cortometraggi documentaristici, di carattere tecnico-industriale; fra questi si distinguono Manon: finestra due (1956), Tre fili fino a Milano (1958), Un metro è lungo cinque (1962). Il suo primo lungometraggio, nato anch'esso come documentario e poi trasformatosi in un film a soggetto, Il tempo si è fermato (1960), è la storia dell'amicizia fra uno studente e il vecchio guardiano di una diga, isolati nella solitudine e nel silenzio di una località di alta montagna. La storia, che presenta evidenti legami estetici e contenutistici con il cinema neorealistico, ha già in sé le principali componenti del cinema di Olmi: la tendenza ad evitare lo spettacolo fine a se stesso, privilegiando l'analisi della realtà quotidiana, attraverso l'approfondimento degli stati d'animo e delle problematiche esistenziali di gente comune, di individui che non hanno niente di eccezionale o di eroico, che vivono la propria esistenza a contatto con gli altri, ma senza riuscire a stabilire veri e profondi legami con i propri simili, così che, in ultima analisi, ciascuno rimane immerso nella propria solitudine. Tali caratteristiche emergono anche ne Il posto, un film diretto nel 1961, che confermò la capacità di Olmi nel tratteggiare con sensibilità personaggi e ambienti; in questo caso, attraverso la storia e le esperienze di un giovane di modesta famiglia, alla ricerca del suo primo posto di lavoro. Tali doti ricomparvero due anni dopo, approfondite, ne I fidanzati, un film in cui, pur con qualche discontinuità, Olmi delineò un ritratto di operaio tra i più autentici del cinema italiano. Notevoli anche, benché di più spiccato impianto documentaristico, due film prodotti dalla RAI: Un certo giorno (1969) e I recuperanti, girati entrambi nel 1969. Nel secondo di essi, il regista, fedele alle sue tematiche, presentava al pubblico la vita solitaria, durissima e pericolosa, di coloro che traevano i mezzi per sopravvivere dal recupero (di qui il titolo) dei residuati bellici di ogni genere, soprattutto in alta montagna. Olmi conservò immutati intenti e valori in tutta la sua filmografia; lo dimostra uno dei suoi film più impegnativi, L'albero degli zoccoli (1978), prodotto anch'esso dalla RAI, che lo trasmise sulla prima rete televisiva il 24 dicembre 1979; un grande affresco della civiltà contadina, ritratta fedelmente con i suoi profondi valori umani e morali, ma anche con le durissime sofferenze causate dalla miseria, dall'ignoranza, dall'incolmabile solco esistente fra coloni e proprietari terrieri (il protagonista viene cacciato dal podere in cui la sua famiglia ha lavorato per generazioni per aver tagliato, di nascosto al padrone, un alberello di pioppo con cui fabbricare un paio di zoccoli per il figlio più piccolo, così che non debba andare a scuola percorrendo chilometri di strada a piedi scalzi). Il film, che fu girato in bianco e nero e in dialetto bergamasco, vinse la Palma d'oro a Cannes. L'interesse di Olmi per il documentario traspare anche dai film da lui girati su personaggi particolarmente significativi della nostra storia contemporanea, come Alcide De Gasperi, Don Milani, Papa Giovanni XXIII; a quest'ultimo è dedicato il film ... e venne un uomo, girato nel 1965. Nel 1982, dopo avere superato una grave malattia, Olmi aprì a Bassano del Grappa una scuola di regia, Ipotesi Cinema, che ha ottenuto un notevole successo. Fra i prestigiosi riconoscimenti da lui ricevuti vanno ricordati anche il Leone d'argento al Festival di Venezia (1987; Lunga vita alla signora!) e, nel 1988, il Leone d'oro, con La leggenda del santo bevitore, un film di straordinario livello artistico. Olmi è apparso anche come attore in un ruolo di secondo piano in Una storia milanese (1962, Luchino Visconti).

LUIGI PAINI
Il Sole-24 Ore

E, a proposito di antropologi e poeti, un altro grandissimo regalo della collana «Real Cinema », della Feltrinelli, riguarda Ermanno Olmi. Anche in questo caso dvd+ libro: Gli anni Edison-Documentari e cortometraggi 1954-1958. Chi è Olmi lo sanno tutti, ma questi brevi film, anche loro "ufo" provienienti dagli anni 50, sono stati per lungo tempo "invisibili". Gustiamoci con religiosa attenzione, dunque, La pattuglia del Passo San Giacomo, La diga del ghiacciaio, Manon finestra 2, Tre fili fino a Milano. E poi i saggi del libro, dal decano Morando Morandini a Tullio Kezich, da Adriano Aprà a un lungo brano di Giovanni Testori (Far la serva a Milano) tratto da La Gilda del Mac Mahon.

BARBARA PALOMBELLI

«Mi piacerebbe che la politica ritrovasse il gusto del progetto e fosse capace di scrivere una promessa credibile per il futuro. Tante volte mi hanno chiesto di candidarmi, di schierarmi: mi sono sempre rifiutato. Se dovessi definirmi, direi di essere stato sempre un uomo libero, un cinematografaro – come mi piace questa parola, com’è brutto dire cineasta – senza un impegno politico. L’accusa più ricorrente, contro di me, è sintetizzata in una critica: “Si nota il limite cattolico dell’autore” dissero di un mio lavoro, tanti anni fa, mentre io non ho mai neppure sottoscritto il cattolicesimo. Sono soltanto un aspirante cristiano e penso che la migliore ideologia consista nel non essere schiavi dell’ideologia. Pratico l’ideologia del dubbio: mi spaventano quelli che pensano di aver capito tutto. Quando ho cominciato a girare, c’era, eccome, un’egemonia di sinistra. Chi stava di là poteva raccontare quel che voleva, gli altri faticavano. Con Goffredo Lombardo, gran signore napoletano che regnava sulla Titanus, prima casa di produzione nazionale, provammo a fare un film sulla ritirata di Russia, raccontata nei suoi libri da Mario Rigoni Sterni Andai a cercare i luoghi adatti, partii prima per Mosca e poi per la Cecoslovacchia, finalmente trovai il paesaggio giusto. Eppure, dopo tanti incontri, sempre con le stesse persone, non riuscivo a capire perché mancasse sempre l’autorizzazione finale. Dopo un anno di tentativi, il mio intermediario del Pci mi disse: “Ma ancora non hai capito? Tu non sei affidabile, non ci garantisci”. E l’anno dopo, il 1964, Giuseppe De Santis, iscritto al partito, girò Italiani brava gente, lui era in linea. Io no. Rimasi addolorato, allora. Adesso sorrido.»

GIAN PIERO BRUNETTA

Nel 1961, in occasione della premiazione del documentario di Ermanno Olmi Un metro lungo cinque al Festival del cinema industriale di Torino, Rossellini dichiara «Questo modo di fare il cinema significa scoprire il mondo».
Rossellini, com'è noto, è stato uno dei pochi registi del cinema mondiale (un vero e proprio «padre Adamo» come lo ha definito Fellini) la cui lezione sia stata diffusa ai quattro angoli della terra da allievi e discepoli e in un panorama vario e dalle diramazioni imprevedibili Olmi appare come uno dei più legittimi interpreti della lezione rosselliniana.
Aveva ragione Christian Depuyper nel definire Olmi - in occasione di un omaggio francese al regista - come «il più solitario e nello stesso tempo il più coerente dei registi italiani del dopoguerra». La sua condizione e la sua scelta di operare ai margini della grande produzione non gli impediscono di assumere naturalmente il ruolo di punto di riferimento per molto cinema indipendente e soprattutto quello di maestro.
Olmi possiede naturalmente il carisma del maestro fin dai suoi primi atti compiuti ai margini del territorio cinematografico più legittimato dalla critica. In effetti a ben guardare lo spirito che ha guidato dagli inizi a oggi le sue scelte cinematografiche riesce a cogliere il cuore, il nucleo profondo del progetto del grande cinema italiano del dopoguerra. Maestro, nel suo caso, è un individuo che mostra di saper raccogliere un'eredità culturale, di saper far rivivere dei saperi che altrimenti andrebbero perduti. Maestro, nel suo caso, significa saper far diventare naturalmente il suo corpo creativo e culturale un ponte attraverso cui altre generazioni possano passare.
Il regista fa propri alcuni aspetti del magistero rosselliniano, ma anche di autori come Bresson, Resnais, Dreyer, Mizoguchi, aggiungendovi di suo un rispetto per il mestiere e un'etica che non lo vedranno mai piegarsi, nonostante insuccessi e stroncature, a compromessi, cedimenti alle mode o alle leggi del mercato. Sa raccogliere l'eredità del neorealismo senza che le sue scelte ne ricalchino le strade canoniche, ma anche di tutta una serie ulteriore di saperi che altrimenti andrebbero perduti. In un periodo in cui il patrimonio artigianale del cinema è disperso e cancellato, Olmi appare come una sorta di reincarnazione dell'artista rinascimentale ed è ancora oggi una delle poche figure in grado di dominare tutti gli aspetti realizzativi del film e di esplorare le frontiere degli effetti speciali in film come Cantando dietro i paraventi. È uno dei registi che più vuole e sa sperimentare la macchina da presa come strumento di ricerca, luogo di confluenza e metamorfosi di molti tipi di affabulazione, orale, di scrittura visiva, poetica, letteraria e musicale.

GIAN PIERO BRUNETTA

In genere la rappresentazione del mondo contadino dell'Albero degli zoccoli non ha trovato unanimi consensi da parte di una critica che non ha saputo vederne lo sviluppo coerente rispetto alla produzione precedente e ha semplicisticamente identificato e confuso la simpatia per i personaggi del mondo rappresentato, l'ideologia dell'autore con quella dei personaggi. Negli «anni di piombo», quando le frange terroristiche sferrano i loro attacchi al cuore dello Stato e sembrano venir meno per la prima volta le grandi bussole d'orientamento ideologico, le spinte consociative, sotto i colpi degli attentati e dei sequestri, la morale rinunciataria dei contadini di Olmi, il loro senso di accettazione del destino appare agli occhi di molti critici come un'enunciazione al limite della blasfemia.
La discesa delle saracinesche ideologiche sugli occhi di molti critici inibisce ovviamente anche la visione e la possibilità di apprezzare il film per le sue qualità stilistiche, affabulatorie e narrative. Lo sguardo dei regista si adatta al tempo di vita dei suoi protagonisti, il film ha un andamento metrico, ritmico e prosodico che tiene conto della ciclicità delle stagioni, della recursività dei gesti, dell'armonia e dell'antinomia uomo/natura. Olmi osserva come piccole cause (il figlio di contadini che viene mandato a scuola, il taglio di un piccolissimo albero per fare gli zoccoli al bambino) producano enormi conseguenze, attivino catene di reazioni di lunga gittata. L'enunciazione del discorso narrativo e visivo di Olmi chiama in causa lo spettatore e ne provoca reazioni differenti. Realizzando un soggetto che gli stava a cuore da quasi vent'anni, Olmi costruisce un'opera che, in misura e con intenzioni diverse, e forse complementari rispetto a quelle di Novecento di Bertolucci, e con diverso spirito epicizzante, vuole contribuire alla costruzione di un monumento alla civiltà contadina. Partendo da un punto di vista anomalo rispetto alla tradizione letteraria, cinematografica e iconografica del dopoguerra sul mondo contadino, Olmi mette bene in evidenza le influenze culturali che gli stanno alle spalle. La storia della sua famiglia contadina bergamasca, racchiusa nel ciclo annuale delle stagioni, raccoglie e dispone con ordine, rispetto e attenzione, come finora nessun film aveva saputo fare, i momenti, i gesti fondamentali e il senso della cultura materiale di un mondo contadino travolti dall'avanzata industriale.
Olmi, come ha sottolineato Kezich, ha compiuto, rispetto ad altri registi che hanno caricato la rappresentazione del mondo contadino nei loro film di forti connotazioni culturali e antropologiche, «l'operazione più radicale: si è rifatto soltanto ai racconti della nonna materna e ai ricordi della propria infanzia [...]. Nessun precedente letterario e nessuna verifica di tipo storico o sociologico. Olmi si è mosso col solo sussidio di queste labili memorie».
Certo Olmi ha lasciato al di fuori della sua rappresentazione molti aspetti della vita contadina legati allo sfruttamento, alle malattie, alla mortalità, ma questo non vuoi dire che si tratti di problemi esterni al suo orizzonte conoscitivo e ideologico. Quello che ha cercato di fare - da un punto di vista opposto e simmetrico, mettiamo, rispetto a Visconti - è ricostruire il senso di una memoria, di una civiltà e di un mondo, di rappresentarne lo spazio e dentro a questo spazio le modalità di visione, di concezione della vita, di definizione di un sistema di rapporti. Ogni critico, ogni intellettuale, intervenuto sul film, ha dimostrato di possedere ben chiara una propria immagine di un mondo contadino e ognuno ha sovrapposto un suo presepe contadino, fatto di stereotipi e di immagini letterarie tutte diverse le une dalle altre. Olmi, grazie alla sua esperienza, ha lavorato molto sulla memoria collettiva e, in questo senso, ha consegnato, non solo alla storia del cinema, un documento sulla civiltà contadina destinato a durare nel tempo e a fare testo, in mancanza di altre fonti.

News

Il suo era un cinema attento alla poesia del gesto semplice.
Il regista bergamasco si è spento nella notte all'ospedale di Asiago in seguito a una grave malattia.
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