•  
  •  
  •  
Apri le opzioni

Rassegna stampa di Laurence Olivier

Laurence Olivier (Laurence Kerr Olivier). Data di nascita 22 maggio 1907 a Dorking (Gran Bretagna) ed è morto il 11 luglio 1989 all'età di 82 anni a Steyning (Gran Bretagna).

PIERO DI DOMENICO
MYmovies.it

L'11 luglio 1989, dopo una lunga e sofferta malattia, il cinema e il teatro perdevano uno dei più grandi attori shakespeariani del nostro secolo. Sir Laurence Kerr Olivier (era diventato baronetto per i suoi meriti artistici) era nato a Dorking, nel Surrey (Inghilterra), il 22 maggio 1907. Stando ai racconti quasi leggendari, il padre, un pastore protestante con la passione per il teatro, lo spinse giovanissimo ad interpretare il "Giulio Cesare" di Shakespeare in una recita parrocchiale.
A 17 anni entra alla Central School of Speech Training and Dramatic Art, dove studiò con Claude Rains.
Nel 1926, si unisce alla Birmingham Repertory e a vent'anni è già tra i protagonisti della compagnia teatrale. Ma il teatro rende poco e la crisi del '29 lascia il giovane attore senza ingaggi. Allora, di malavoglia, decide di interpretare alcune pellicole per il neonato cinema sonoro. Nel 1931 si trasferisce ad Hollywood con la moglie, Jill Esmond, e interpreta una serie di film commerciali. La prima esperienza americana è però deludente e Olivier è costretto a tornare in Inghilterra dopo aver subito l'umiliazione del licenziamento dal set durante le riprese di La regina Cristina (pare su pressione di Greta Garbo). Per Olivier il capitolo Hollywood sembrava chiuso per sempre, del resto in patria lo attendevano stagioni d'oro al risorto teatro Old Vic.
Ma il grande attore rimane ancora legato al cinema: nel 1936 interpreta la parte di Orlando in Come vi piace da Shakespeare. Solo per insistenza di Vivien Leigh, il suo nuovo grande amore (i due si sposeranno nel 1940), accetta di girare La voce nella tempesta di William Wyler. Il suo tenebroso Heathcliff è seguito da un mitico Max de Winter in Rebecca di Hitchcock e da un sarcastico Darcy in Orgoglio e pregiudizio. Il ritorno a Hollywood è tanto fulmineo quanto strepitoso (due nomination all'Oscar).
Nel 1941 torna in patria per arruolarsi tra i paracadutisti, ben intenzionato a combattere il nazismo. Non finirà mai al fronte, ma darà il suo contributo alla vittoria girando per conto del Ministero della Propaganda l'Enrico V. Con questo film, per la prima volta, Olivier si cimenta anche nella regia e nella sceneggiatura. La pellicola ottiene un successo strepitoso: Olivier riceve un Oscar speciale 'per lo straordinario risultato ottenuto come attore, produttore e regista'. Negli anni successivi proseguirà nella diffusione del teatro portando sul grande schermo altre opere shakespeariane (nel 1948 il suo Amleto vince il Leone d'Oro e quattro Oscar) e pezzi più moderni come Il principe e la ballerina da Terence Rattigan, al fianco di Marilyn Monroe, e The Entertainer da John Osborne.
Olivier ha anche il merito di aver presto compreso il grande potere della televisione: presentò sul piccolo schermo numerose registrazioni di sue pièce teatrali, da Cechov a Strindberg. Intanto nel 1960 divorzia anche dalla Leigh e sposa l'attrice Joan Plowright, conosciuta sul set di The Entertainer. Continua a lavorare per il cinema in film più o meno importanti, collezionando ben undici nomination agli Oscar.
Direttore del National Theatre dal 1963, nel 1970 Sir Laurence Olivier va ad occupare un seggio alla Camera dei Lord. Nel 1974, appare per l'ultima volta in teatro: negli anni seguenti sarà nel cast di moltissimi film, non tutti eccezionali, ma sempre nobilitati dalla sua presenza.
Nel 1979 Laurence Olivier è stato premiato ancora dall'Academy Award con un Oscar alla carriera. Negli anni Ottanta prosegue il suo lavoro sia in televisione che al cinema, comparendo per l'ultima volta in War Requiem di Derek Jarman. Il grande interprete shakespeariano è morto a Steyning, nel Sussex, l'11 luglio 1989 ed è stato sepolto nell'abbazia di Westminster, a Londra.

EMANUELA MARTINI
Film TV

Maxim De Winter, ambiguo, in Rebecca di Hitchcock, Teathcliff, il torvo violento, in La voce nella tempesta di Wyler, mister Darc l’arrogante, in Orgoglio e pregiudizio di Leonard, Orazio Nelson, il rigido, in Lady Hamilton di Korda: con quegli occhi che potevano passare dal disprezzo alla passione nel tempo di un battito di ciglia, quella fronte che pareva muoversi da sola e, soprattutto, quel labbro superiore «dalla linea fastidiosamente sottile e dura, ereditata così da mio padre, utile solo per recitare la parte del nazista duro, cosa che mi è capitata solo una volta nel Maratoneta. (e talvolta mascherata dai balli, in gioventù, e dalla barba, in vecchiaia), Laurence Olivier incarnò, in un pugno di film tra gli anni 30 e 40, l’ideale del bel tenebroso, raffinato, imperscrutabile, pericoloso fino all’ultimo abbraccio risolutore, che il cinema aveva ereditato dalla letteratura romantica. Da amare disperatamente, anche se ha ucciso la prima moglie, se è pronto a uccidervi e malmenarvi, se vi tratta con la supponenza riservata a una sciacquetta di rango inferiore. Il più bello e affascinante dei re della scena inglese (gli altri erano John Gielgud e Ralph Richardson) non disdegnò mai Hollywood. la fama e il denaro che la Mecca dei cinema poteva procurargli, e accettò di ritornarvi nel 1939, nonostante lo smacco inglorioso del 1932, quando la Divina Garbo lo aveva sdegnosamente rifiutato come partner nella Regina Cristina. Heathcliff di La voce nella tempesta, Heathcliff che non riesce a domare i suoi istinti e urla al vento della brughiera, che ruba la grande scena finale alla morente Catherine Merle Oberon, lo trasformò in una star internazionale, il prim’attore romantico esasperato che il mélo cercava. Ma né per il cinema né per le passioni della vita vera (tre mogli, due delle quali grandi amori: Vivien Leigh, vent’anni di matrimonio e di nevrosi, e Joan Plowright, sua moglie dal 1961 alla sua morte, 15 anni fa, l’11 luglio del 1989) trascurò mai il teatro, per il quale, aveva decretato suo padre, rigidissimo e avaro pastore anglicano, era nato. Gran bugiardo e un po’ vigliacco fin da piccolo (lo racconta nelle sue memorie, il bel Confessioni di un peccatore), davanti a un pubblico diventava spavaldo e persino strafottente (anche se fu afflitto, a metà degli anni 60 e per circa 5 anni, da una grave forma di “stage fright” - panico da palcoscenico). Fece Amleto nel 1937, a trent’anni, anche lui «per togliersi il pensiero» come farà a venticinque Kenneth Branagh, che insegue il mito di Olivier fin dalla linea sottile del labbro superiore; fece Romeo e Mercuzio alternandosi ogni sera nelle parti con John Gielgud, Enrico V e Macbeth, Riccardo III e Re Lear, Zio Vania, un leggendario Edipo re e Cesare e Antonio, ancora a sere alterne, nella commedia di Shaw e nel dramma di Shakespeare, con la Cleopatra Vivien Leigh. Interpretava, dirigeva, produce, all’Old Vic e, dagli anni 60l National Theatre di Londra. Nel frattempo il Divo della scena inglese aveva anche fatto man bassa di Oscar e riconoscimenti: costretto quasi per caso a esserne anche regista, nel 1945 trasformò quello che poteva essere un pomposo esemplare di teatro filmato, l’Enrico V, in una gloriosa epopea, suoni, voci, colori, lo slancio della battaglia e delle frecce contro il sole, i corpi avvinghiati di Paolo Uccello e il ritmo eroico di Eisenstein. Nel 48 fu la volta di Amleto, lettura psicanalitica e gotico svettante, e nel Riccardo III, macabro ai limiti dell’horror e concentrato in uno spazio claustrofobico, dove il re sanguinario si aggira come un serpente seduttore. Negli anni 60, quando è ultracinquantenne, le sue interpretazioni cinematografiche si affinano, se è possibile, ancora di più. Svanito il cliché romantico (tranne che per il brillante Il principe e la ballerina, dove cede lo schermo a Marilyn Monroe, e per il meraviglioso Amore tra le rovine di Cukor, commedia dolce-amara sugli affanni dei vecchi cuori, interpretata con Katharine Hepburn), balzano in primo piano l’ambiguità del sorriso e la sfuggente inquietudine del suo sguardo. L’umanità affina la tecnica, nell’omosessualità non solo suggerita del Cassio di Spartacus, nell’autodistruzione rovente e masochísta degli Sfasati di Richardson, da Osborne, che portò anche sulle scene, nel dolore quieto dell’ispettore di polizia di Bunny Lake è scomparsa, nella crudeltà elaborata e sottotono del dentista nazista del Maratoneta. Quando nel 1983, a settantasei anni, malato e da tempo assente dal teatro e dallo schermo, interpretò per la televisione uno straziante Re Lear, erano la fragilità e la vecchiaia dell’attore che andavano in scena, in uno struggente denudamento che solo i grandi sanno raggiungere.

FERNALDO DI GIAMMATTEO

Gigione sopraffino come attore (indimenticabili i personaggi di Gli sfasati, 1960, di Tony Richardson e di Gli insospettabili, di J.L. Mankiewicz; formidabile la breve caratterizzazione del dentista in Il maratoneta, 1976, di John Schlesinger), cultore di Shakespeare e della psicoanalisi, apporta alla regia cinematografica un gusto fra l'aulico e il nevrotico che non avrà eredi (gli altri shakespeariani, come Kenneth Branagh, punteranno al realismo antiaccademico). Dopo aver fatto le sue belle e importanti prove di attore a Hollywood (La voce nella tempesta, 1939, di William Wyler; Rebecca, la prima moglie , 1940, di Alfred Hitchcock; Orgoglio e pregiudizio,1940, di Robert Z. Leonard; Lady Hamilton, il grande ammiraglio, 1941, di Àlexander Korda) ed avere rinverdito la tradizione del teatro inglese, assume Enrico V (1944) come esempio di racconto epico e come manifesto di volontà di vittoria contro il nemico esterno: Shakespeare e la guerra si fondono in una allegoria elegantemente colorata dell'indomabile coraggio inglese. È uno spettacolo sontuoso, avventuroso e mosso (la battaglia di Azincourt con gli sbarramenti «anticarro» e il lancio di nugoli di frecce è una grande pagina di cinema), che conferisce a Olivier i gradi di regista principe. Quattro anni dopo, rinnovando l'interpretazione psicoanalitica già esposta in teatro (il complesso di Edipo, il morboso attaccamento fra madre e figlio), realizza un Amleto in bianco e nero di forte impatto emotivo e di grande efficacia visiva. Torna al colore, trattato con una illuminazione effettata non sempre idonea allo sviluppo del discorso poetico, e inscena il Riccardo Ill (1955), la più fosca delle tragedie shakespeariane, per ritrovare la felicità espressiva dei film precedenti ma spingendo sino al limite, e con suggestivi risultati, la carica nevrotica contenuta nel personaggio.

UGO CASIRAGHI

Come per quasi tutti i maggiori attori teatrali inglesi del secolo, anche per Laurence Olivier il cinema fu soltanto un comodo mezzo per avere guadagni più alti e una fama più larga. Lo fu almeno all'inizio della sua prestigiosa parabola artistica, ma lo sarà anche verso la fine. Nato il 22 maggio 1907, era in teatro dal 1925 e apparve sullo schermo a partire dal 1930, dividendosi tra Gran Bretagna e Stati Uniti in film senza storia. Nel 1932 ebbe però la sua prima grande occasione ma anche il suo 25 luglio. Come il fascismo, se ci si passa l'accostamento davvero irriverente.
Il 25 luglio fu appunto il giorno del provino supremo accanto a Greta Garbo che l'aveva scelto come partner per La regina Cristina. Veramente ne aveva già scelti e scartati altri, perché il suo cuore era pur sempre fissato su John Gilbert, suo amante del muto, che una cattiva voce eliminava dal cinema parlato. All'inizio del 1927 La carne e il diavolo era stato il terzo film della diva e quello del suo lancio definitivo. Più famoso di lei, John Gilbert l'aveva accettata al suo fianco e l'attrice provava riconoscenza.
Dopo uno scambio di telegrammi con la produzione, nei quali il giovane inglese s'era preoccupato solo della parte amministrativa, eccoli l'uno di fronte all'altra, l'uno più timido dell'altra. Laurence era uno spagnolo con baffi alla Ronald Colman e accento oxfordiano, che nella camera da letto d'una locanda doveva svegliare il fuoco della passione nella glaciale svedese. Tutto il Regno Unito tifava in quel momento per lui, ma Greta guardava oltre le sue spalle, implorando con gli occhi il regista Mamoulian di toglierla da quella situazione imbarazzante. Il ruolo di don Antonio fu poi regolarmente assegnato a Gilbert, e l'incolpevole Olivier giurò allora che del cinema non avrebbe più voluto saperne.
E quando gli proposero la parte di Romeo, accettata in seguito dal più stagionato Leslie Howard, rispose di non credere ai film scespiriani, lui che con essi doveva passare alla storia del cinema! In effetti tra cinema e teatro ci fu in principio uno strano rapporto, nella carriera del futuro sir Laurence, il primo degli attori insignito del titolo di baronetto. Il cinema non giovava al teatro e il teatro non giovava al cinema, in quel primo periodo in cui i due mezzi convivevano in lui da estranei, anzi da nemici. I tradizionalisti dell'establishment scespiriano ritenevano troppo frivole le sue prestazioni cinematografiche, insomma qualcosa come
«molto rumore per nulla». E i patiti del film d'avventure non gradivano quell'attore troppo forbito, che commerciava coi classici. Nel 1936 in Inghilterra, comunque, Olivier già si smentiva accettando il ruolo di Orlando in una versione per lo schermo di Come vi piace, diretta da Paul Czinner per la moglie Elisabeth Bergner, l'illustre attrice di lingua tedesca, ma anche inglese, mancata il 12 maggio 1986 a 85 anni. Paradossalmente, fu proprio il gran rifiuto di Greta Garbo a fargli prendere il cinema per il verso giusto, fu proprio Come vi piace a fargli sentire che Shakespeare sullo schermo non andava recitato così.

Vai alla home di MYmovies.it »
Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | Serie TV | Dvd | Stasera in Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | TROVASTREAMING
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Accedi | Registrati