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La vertigine all’opera, in un film il mondo enigmatico di Escher

Il doc di Robin Lutz esalta e testimonia il successo popolare e perdurante dell’opera dell’artista. Al cinema.
di Raffaella Giancristofaro

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lunedì 16 dicembre 2019 - Focus

“Non sono un artista, sono un matematico”. Parola di M.C. Escher (1898-1972), l’olandese che ha volato moltissimo con la fantasia, effettivamente sempre a partire dai numeri e dalle proporzioni. Forse l’olandese più pop della storia dell’arte, in una lunga e pregevole linea che abbraccia Rembrandt e Van Gogh, Vermeer e Bosch. Ma da cui Maurits Cornelis (abbreviato in M.C.) è escluso per una formazione non a bottega e una biografia agli antipodi da quella dell’artista maledetto: figlio di una famiglia benestante, coltiva interessi molto eclettici e abbandona presto gli studi più “seri” di architettura e arti decorative per dedicarsi all’intaglio del legno ma soprattutto perfezionarsi nel disegno.  
 

Come spesso accade, Escher ha vissuto e operato in anticipo sui propri tempi, tra la minaccia del nazifascismo insorgente in Europa e l’occupazione tedesca del suo Paese d’origine. Sempre caratterizzato da un inesauribile desiderio di osservazione, contemplazione, scomposizione e riassemblamento di ogni dettaglio naturale e misurabile. 
Raffaella Giancristofaro

Escher - Viaggio nell’infinito di Robin Lutz esalta e testimonia il successo popolare e perdurante dell’opera dell’artista. 

Un favore tardivo ma travolgente, nato negli anni ’60 con il saccheggio “open source” delle sue stampe (litografie, xilografie, stampe su legno) da parte della controcultura hippie di San Francisco, che il documentario rivela con un’inaspettata confessione di Graham Nash (di Crosby, Stills, Nash & Young). E che non smette di ammaliare imitatori e cultori di ogni tipo, attraverso i linguaggi più diversi: fumetto, design d’interni, video arte, make up, tatoo art, fino alle code del 2016 per la super mostra antologica al Palazzo Reale di Milano.

L’immaginario ipnotico e affascinante di Escher – arte e matematica, ma anche scienza dei cristalli, o l’innamoramento totale per i motivi dell’arte moresca scoperti e studiati all’Alhambra di Granada - ha sedotto anche Christopher Nolan, regista tra i più ambiziosi e spericolati della nostra era: e infatti la spettacolare citazione che ne fa nel suo Inception, il vertiginoso paradosso della scala, viene molto opportunamente ricordato in questo documentario fedelissimo alla fonte, che parla cioè per voce dei diari del creativo (attraverso la voce di Stephen Fry). Prima di Nolan c’erano state le costruzioni architettoniche di Labyrinth di Jim Henson e ovviamente le cartografie del videogioco, estremamente debitrici delle visioni escheriane, in particolar modo di "The Bridge" di Ty Taylor e Mario Castaneda (2013).

Difficile restare indifferenti al fascino delle sue opere. Non ce la fa nemmeno Mick Jagger, che nel ‘69 gli scrive per chiedergli un’immagine per Let It Bleed, ritrovandosi a un secco rifiuto (mentre una sua immagine la si ritroverà  sulla cover del non ufficiale 'On the Run' dei Pink Floyd, ma anche di 'Comme un homme di Mina'). Escher infatti non ha tempo da perdere: deve ritoccare le sue “prospettive impossibili”, generate dalle suggestioni matematiche del cubo di Necker, dalla cristallografia bidimensionale, il triangolo di sir Roger Penrose (tra i sostenitori del film), l’universo curvo di Albert Einstein.

Eppure nella sua produzione si incontrano non solo arte grafica e calcolo, ma anche la musica, ambito di iterazioni e ossessioni: dalla Passione di San Matteo di Bach alla capacità di sorvolare col pensiero l’intero orbe terracqueo, infatti, il passo è brevissimo. 


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