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Border, una storia d'amore poco umana che ci chiede cosa sia davvero l'umanità

Un film unico che meraviglia ed emoziona, vincitore della sezione Un certain Regard a Cannes e dal 28 marzo al cinema.
di Andrea Fornasiero

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Eva Melander . Interpreta Tina nel film di Ali Abbasi Border - Creature di confine.
venerdì 22 marzo 2019 - Recensioni

Tina è un'agente della dogana portuale di una città svedese, crede di essere affetta da un'anomalia genetica e vive un'esistenza placida. Incassa le male parole di chi ferma alla frontiera e il disinteresse del suo compagno, che presta molta più attenzione ai suoi cani di corsa che non a lei. In compenso sul lavoro Tina ha modo di usare il proprio straordinario fiuto, che le permette di avvertire emozioni come la paura e la vergogna, portandola così a scoprire anche trafficanti di materiale pedopornografico. La possibilità di collaborare a un'indagine poliziesca inizia a darle un po' più di fiducia in sé, ma a stravolgere la sua vita sarà l'incontro con Vore, che sembra soffrire della sua stessa condizione eppure la porta con sfacciato orgoglio.

Una storia d'amore tra esseri non del tutto umani che ci chiede cosa sia davvero l'umanità. L'eterno interrogativo se sia più la natura o la cultura a fare di noi quello che siamo si sviluppa qui in un intreccio di genere, tra il fantasy e il crime, declinato però secondo l'estetica del realismo sociale.
Andrea Fornasiero

Border - Creature di confine è un film unico, tratto da un racconto dello svedese John Ajvide Lindqvist (già autore del romanzo da cui è stato tratto Lasciami entrare) e vincitore a Cannes, nel 2018, nella prestigiosa sezione Un Certain Regard. Opera seconda dello svedese-iraniano Ali Abbasi - che aveva esordito nel 2016 con Shelley, un inquietante horror sulla maternità - Border è dichiaratamente un tentativo di raccontare l'appartenenza a una minoranza. Non una minoranza reale, bensì fantastica, e soprattutto emotiva, che Abbasi cerca di rendere allo stesso tempo nuova e aliena eppure quanto più possibile familiare. Tina appartiene infatti a una stirpe di creature del folclore nordico perseguitate e quasi estinte come le vittime di un genocidio, inoltre ha volto e lineamenti sgraziati, che fanno di lei una diversa come una portatrice di handicap, e anche le sue pulsioni alimentari e soprattutto sessuali non sono quelle che ci si aspetta.

Abbasi ci tiene a chiarire che Border non è un film sulla condizione transessuale né sugli immigrati: anche se ci sono palesi punti in comune con queste minoranze il regista ha evitato di costruire didascaliche allegorie, infatti Tina può riferirsi a queste categorie di persone ma allo stesso tempo le rifugge per la sua natura inumana. Non è una metafora nuova, quella del mostro per il diverso, ma Abbasi riesce a rigenerarla privandola dell'enfasi della grande rivelazione e immergendola invece in situazioni ordinarie, facendone così emergere la vera e più originale alterità.

Gli uomini che Tina incontra hanno poi meno umanità di lei, dai trafficanti in pedopornografia fino al cinico detective che la affianca nell'indagine, senza escludere il suo compagno pressoché nullafacente e suo padre che le ha nascosto la sua vera identità per tutta la vita. Come ama scrivere Tiziano Sclavi: i mostri siamo noi. Ma le cose non schematiche e anche Vore sa essere minaccioso, del resto conosce la propria storia e natura meglio di Tina quindi cova un legittimo risentimento verso gli uomini. Lei invece ha sempre cercato di essere accettata da loro e, anche nell'inganno ha conosciuto l'affetto, quindi non perde la propria empatia e non resta indifferente al dolore degli innocenti.

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