Van Gogh secondo Schnabel, il ritratto umano di un'anima errante e della sua ricerca di un posto nella società. Recensione di Marzia Gandolfi, legge Barbara Petti.
di A cura della redazione
È di sole che ha bisogno Vincent van Gogh, insofferente a Parigi e ai suoi grigi. Confortato dall'affetto del fratello Theo, Vincent si trasferisce ad Arles, ma la permanenza è turbata dalle nevrosi incalzanti e dall'ostilità dei locali, che biasimano la sua arte. A colpi di pennellate nervose, arriverà bruscamente alla fine dei suoi giorni.
Ventidue anni dopo Basquiat, Julian Schnabel trasloca in Francia per raccontare il bisogno permanente di Van Gogh di dipingere. Come per Basquiat, non cerca di penetrare l'enigma della creazione. Quello che gli interessa è rendere conto del mondo nel quale viveva, dove l'impressionismo era l'arte dominante, perché è in quel mondo che ritroviamo le convenzioni sociali che lo rigettano.
Alle torsioni delle sue tele, il regista risponde con gli strumenti del cinema provando a suo modo a governare il caos.
In occasione dell'uscita al cinema di Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità (guarda la video recensione), in sala dal 3 gennaio, Barbara Petti interpreta la recensione di Marzia Gandolfi.