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Funeralopolis, un crudo documentario di impronta minerviniana

Il film di Redaelli ritrae la drammatica quotidianità di due giovani e immerge lo spettatore in situazioni e spazi spesso solo immaginati.
di Giancarlo Zappoli

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lunedì 24 settembre 2018 - Recensioni

Vash e Felce (il secondo trentenne, l'altro più giovane) fanno musica insieme, consumano droghe (eroina compresa) e condividono tutto. Sono cresciuti a Bresso e si sono incontrati grazie al rap e all'esoterismo. La telecamera li segue ovunque senza remore né censure.
Alessandro Redaelli, in un'intervista ha dichiarato: "Volevo fare un lungometraggio, e mi dicevo: sono povero e non ho nessuno che mi possa appoggiare, cosa faccio? Un documentario d'osservazione era l'unica opzione". Non sempre questo punto di partenza conduce a risultati apprezzabili. Anzi, spesso accade il contrario.

La democratizzazione del mezzo conduce ad esiti privi di controllo a cui manca un'idea di fondo. Dal primo montaggio di 5/6 ore Redaelli ha saputo invece trarre, come fa uno scultore da un blocco di marmo, l'essenza di un'osservazione che si fa inevitabilmente (magari anche contro le intenzioni dello stesso osservatore) riflessione.
Giancarlo Zappoli

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