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David Bowie, vertigini personali, emozione universale

Un performer incomparabile col corpo sulla terra e la testa su Marte. Abitato da una bellezza cosmica ci ha lasciato una voce eterna che spinge sul cuore, si aggrappa alla memoria e lì resta per sempre.
di Marzia Gandolfi

David Bowie (David Robert Hayward-Jones) 8 gennaio 1947, Londra (Gran Bretagna) - 10 Gennaio 2016, Londra (Gran Bretagna).
martedì 19 gennaio 2016 - Celebrities

Veniva da altrove ed era dappertutto David Bowie. Polimorfo e versatile, vampiro e camaleonte, ha disseminato una moltitudine di immagini di sé, che si trattasse dei personaggi interpretati nelle clip, di quelli 'posati' sulle cover, di apparizioni come attore o della sua presenza subliminale dentro film, a cui prestava canzoni e voce. Animale unico della sua specie, non assomiglia a nessuno e nessuno gli somiglia. Lo stile di Bowie non appartiene che a lui.
'Laboratorio' inesauribile di forme, concepisce da sé le silhouettes dei suoi numerosi avatar e delle sue tante vite. Per Bowie palcoscenico e vita si confondono, l'esistenza non è per lui che un gioco di ruoli e il costume il modo migliore di prendere posto nella narrazione che ciascuno di noi fa di se stesso. La sua l'ha consegnata al mondo e di questo saremo sempre riconoscenti. Bowie non è un prodotto della moda o dell'immaginazione di uno stilista, Bowie si è creato da solo e ha cucito da solo ogni mise. Non è la moda a ispirarlo ma è lui che la ispira, galvanizzando Frida Giannini (Gucci) che consacra tre collezioni allo stile Bowie, Hedi Slimane (Dior Homme) che applica la sua eleganza androgina all'abito maschile, Raf Simons (ancora Dior) che omaggia i suoi personaggi nella collezione haute couture primavera-estate 2015.

Eccolo il messia che tutti aspettavano, metà alieno, metà umano, rientra dal cosmo con un messaggio d'amore, si accomoda in salotto e canta a te, proprio a te, che sei finalmente libero di essere chi vuoi essere.
Marzia Gandolfi

Impregnato di musica americana (Elvis Presley, Little Richard, The Velvet Underground), aperto alle influenze europee (Jacques Brel, Kurt Weill), affascinato da mimi e scrittori Beat, avvinto da Oscar Wilde e George Orwell, l'artista inglese si nutre degli altri, traducendo le avanguardie in linguaggio popolare. Cacciatore instancabile di idee, si tuffa a picco nell'ignoto, "inferno o cielo non importa", per trovare la sua via, l'inedito e le immagini multiple di sé.
Alla crisi identitaria, Bowie oppone l'idea di reboot, un'identità da rilanciare incessantemente, trasformandola e modellandola a proprio piacimento. Una performance perpetua portatrice di libertà e di possibilità. Per i suoi concept album inventa allora personaggi che abbiglia e poi incarna sulla scena, talora, a suo discapito, nella vita (Ziggy Stardust, Aladdin Sane, Halloween Jack, Nathan Adler, The Thin White Duke...). Bowie costruisce un'armatura, moltiplica i suoi alter ego, oggettivizza i suoi demoni, li domina e li condivide col pubblico, per renderli più sopportabili, per esistere sotto lo sguardo febbrile dei fan. Perché l'uomo che viene dal pianeta Marte qualche volta non sa dove andare, qualche altra non va da nessuna parte, vagando station to station. In equilibrio permanente tra realtà e (science) fiction, fa delle sue vertigini personali (paranoia, angoscia, mancanza di desiderio) un'emozione universale.


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Un performer, il più grande di tutti e senza il quale tutti non esisterebbero. Nella foto è il prigioniero inglese di Furyo (1983).
Non è la moda a ispirare Bowie ma è lui che la ispira. Nella foto veste l'abito Kansai Yamamoto per il tour Aladdin Sane, 1973.
Bowie durante il concerto inaugurale del suo tour inglese nell'arena di Wembley (1995).

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