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Prima Guerra Mondiale; 100 anni, Bergoglio; i film

ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto una scena del film All'Ovest niente di nuovo (1930) di Lewis Milestone.

domenica 21 settembre 2014 - Focus

Visitando il Sacrario militare di Redipuglia, papa Bergoglio, nel centenario dell'inizio della prima guerra mondiale, ha maledetto tutte le guerre. Quel conflitto costò 16 milioni di morti e 20 di feriti e mutilati. Uno spunto per il cinema, al quale si devono racconti struggenti e reali, e molti titoli sono capolavori. Ho scelto una selezione rispetto alle potenze principali che parteciparono. Alleati (Usa, Francia, Inghilterra, Italia) contro Germania. Parto dalla nazione sconfitta, con un titolo che fa parte della storia del cinema - come tutti gli altri del resto -. All'Ovest niente di nuovo (1930) è firmato da Lewis Milestone, regista nato nell'odierna Moldavia, naturalizzato americano. Ma voglio che a comandare sia chi ha scritto il romanzo, Erich Maria Remarque, tedesco. In Germania all'inizio della guerra, alcuni studenti, esaltati dai discorsi di un professore, si arruolano con entusiasmo. Ma la realtà è diversa e l'amor patrio comincia a scemare. Gli orrori e i misfatti della guerra si susseguono sotto gli occhi sgomenti dei combattenti. Un giovane soldato, dopo una breve licenza, ritorna al fronte e, mentre si appresta a catturare una farfalla per la sua collezione, viene colpito a morte. Il grande realismo e l'assoluta attenzione alla verità ne fanno un film, appunto, di sapore europeo. Il film, fu vietato durante il fascismo. Arrivò sui nostri schermi negli anni Cinquanta.
Il più importante titolo americano su quel conflitto è senz'altro Orizzonti di Gloria, di Stanley Kubrick, del 1957, tratto dal romanzo di Humphrey Cobb. In questo caso il peso del regista è maggiore di quello dello scrittore. Dunque capovolgo il concetto e scelgo Addio alle armi, edizione del 1932 di Frank Borzage, con Gary Cooper, dal romanzo di Ernest Hemingway. Lo scrittore americano era, 19enne, volontario della Croce Rossa. Fu ferito a Fossalta, fronte del Piave e ricoverato a Milano, in via Armorari, dove conobbe l'infermiera Agnes von Kurowsky che divenne poi la Katherine di Addio alle armi. Il protagonista, il tenente Frederick, alter ego di Ernest, diserta e fugge con Katherine. Si rifugiano in Svizzera dove lei muore di parto. Dunque una sorta di docu-fiction. Anche questo film non fu mai distribuito in Italia in "quegli" anni perché ritenuto lesivo della dignità delle forze armate.
Lawrence d'Arabia (1962) è il titolo perfettamente inglese: lo è la storia, il regista (Lean) lo scrittore (T.E. Lawrence) il personaggio (lo stesso Lawrence) e il protagonista (O'Toole). Il contesto bellico non è l'Europa ma il Medio Oriente. Nel 1917 l'Inghilterra aveva delle precise mire sull'Arabia e sull'Egitto. I disegni politici erano intralciati dai turchi e dall'incapacità delle tribù arabe di riuscire a far fronte comune. Lawrence, ufficiale inglese innamorato della cultura musulmana e del deserto, diventa amico di alcuni capi arabi e riesce a metter d'accordo quei popoli diversissimi fra loro e a conquistare Aqaba, porto strategico sul mar Rosso. È un'impresa enorme, e gli viene riconosciuta, ma al momento opportuno, quando si tratta di mantenere le promesse, i capi si tirano indietro. Lawrence era soltanto servito come strumento per le strategie espansionistiche dell'impero britannico.
La grande illusione (Renoir 1936) trascende il cinema. È un'opera d'arte perfetta, per verità e realismo, soprattutto per i contenuti, che sono vasti e universali, ma esposti con una naturalezza sconosciuta fino ad allora e rarissimamente replicata in avvenire. Due aviatori, il tenente Marechal e il capitano de Boieldieu, nobile, sono internati in una prigione di ufficiali, comandata dal colonnello von Rauffenstein (Stroheim). Fra i due nobili nasce un rapporto oltre la guerra, per le loro affinità interclassiste. De Boieldieu si offre come diversivo per una fuga. Rauffenstein, con la morte addosso, è costretto a uccidere il suo omologo.
La grande guerra (Monicelli 1959): Oreste (Sordi), romano, e Giovanni (Gassman), milanese, sono due furbastri vigliacchetti. Dopo aver cercato invano di imboscarsi si trovano arruolati e al fronte. Riescono a evitare le situazioni pericolose ma una notte vengono catturati. Travestiti da tedeschi potrebbero essere fucilati. Il colonnello nemico promette che li salverà se riveleranno l'ubicazione di un certo ponte di barche sul Piave. I due decidono di salvarsi, ma il colonnello dice una frase sbagliata e provoca nei "vigliacchi" un rigurgito di orgoglio. Non parlano, e muoiono da eroi, fucilati. Ma nessuno lo saprà mai. Uno dei più grandi film italiani, della nostra età dell'oro.
Una citazione non può non riguardare la Russia. In quella guerra la Russia aveva altri pensieri, la rivoluzione. Era il 1917. In luglio il suo esercito era stato sfaldato da un attacco degli imperi centrali. Così si ritirò dal conflitto, per affrontarne un altro, la rivoluzione di ottobre, appunto. Che trionfò. È risaputo che il cinema divenne strumento grande ed efficace del movimento, con una serie quasi infinita di film, alcuni dei quali di grande qualità. Uno era Arsenale (1929), di Alexandr Dovženko. Un contadino ucraino riesce a sopravvivere alla guerra, torna in patria e qui comincia la "vera" vicenda, quella che interessava all'autore e alla propaganda. L'uomo viene assunto all'Arsenale di Kiev e si trova a combattere le forze antirivoluzionarie. Trionfando.

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