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Scelgo Leopardi e Martone

ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto Mario Martone, regista di Il giovane favoloso.
Mario Martone (64 anni) 20 novembre 1959, Napoli (Italia) - Scorpione. Regista del film Il giovane favoloso.

domenica 7 settembre 2014 - Focus

A Venezia è stato presentato Il giovane favoloso, per la regia di Mario Martone, con Elio Germano nella parte di Giacomo Leopardi. Il film ha avuto ottima accoglienza, da tutti, critica e pubblico. Se ne è parlato molto. Il mio focus è sull'autore.
Una volta Eduardo disse: "nessuno è più stupido di un napoletano stupido, nessuno è più intelligente di un napoletano intelligente." Mario Martone appartiene al secondo gruppo. Da anni dico -anzi dicevo, perché nel recente le cose sono migliorate- che il regista napoletano è una delle rare prove di esistenza in vita del cinema italiano.
La radice artistica di Martone è il teatro. Significa dunque cultura e letteratura. Due parole di base che identificheranno l'artista nel suo percorso. Una contaminatio alta che si trasferirà in tutti i suoi film. Dunque, l'attitudine colta-letteraria di Martone è sempre in campo. Che non fosse "uno qualsiasi" lo si capì quasi subito, parlo di cinema, dal suo primo lungometraggio, Morte di un matematico napoletano, forse troppo mirato a compiacere la critica, che infatti ... si compiacque, visto che il film si vide attribuire il "Premio speciale della giuria" alla mostra di Venezia. Correva il 1992. Ma da allora Martone ha aggiustato le misure e ha trovato la sua identità, e una qualità molto alta. Nelle sue parole alla conferenza stampa emerge la profondità della sua ricerca sulla personalità de Giacomo Leopardi, un uomo e un poeta non semplice da inquadrare. Un'anima sofferente che per lunghi tratti della sua vita ha vissuto di riflesso, prima di un padre duro, che non faceva prigionieri, che intendeva indirizzare il figlio secondo le proprie idee e non nutriva dubbi. Poi di un amico, Antonio Ranieri, che era esattamente l'opposto del poeta: bello, estroverso e corteggiato. Martone ha detto: "Leopardi è stato il Mozart della poesia, hanno molto in comune, per carattere, per affinità famigliari... Amadeus e Giacomo, geni ribelli, talenti precoci, con padri autoritari, adorati dalle sorelle, entrambi impreparati alla vita, morti prima dei 40 anni, malattie oscure. Entrambi finiti in tombe senza nome, anche se la sepoltura di Giacomo è a Posillipo, ma non si sa se quei resti siano proprio i suoi." Che il regista accomuni il poeta e il musicista fa parte della sua ricerca e del sincretismo artistico che gli appartiene. E che si applichi su un personaggio poco cinematografico -secondo i codici normali del cinema- lo trovo un magnifico segnale. Perché è un segnale di cultura, che è un codice scomodo per il cinema, se non trovi la chimica opportuna. Su Leopardi aveva lavorato nelle "Operette morali" una pièce di grande successo. E le "operette" non sono un target facile, sono larghe e complesse, raccolgono tutti i temi del poeta, la ricerca della felicità, il peso del dolore, la vita che ti è generalmente, nemica. Martone ha saputo regolare e togliere, e ha estratto il meglio. E' legittimo che io riporti alcuni stralci del dizionario "Farinotti", che possono essere estesi all'attitudine generale dell'autore. Nel suo Teatro di guerra, del 1998, un gruppo di attori, a Napoli, mette in scena I sette contro Tebe, di Eschilo. Il "teatro" è la Jugoslavia. La storia fratricida dei "sette" certo si applica a quella guerra dei Balcani. "...
'Sudespressionismo': Martone, Corsicato e altri percorrono questa strada. Napoli si presta. Martone è il più bravo. Davvero un talento capace non solo di espressione e inventiva, ma di misure e contenuti. Ferma restando la napoletanità dalla quale nessun regista autoctono riesce a staccarsi (e si capisce). Martone è capace di slanci e metafore universali. In tanta mediocrità del cinema italiano, dilaniato dal "permissivismo" dei finanziamenti ministeriali italiani, ecco un'opera vera e ben raccontata". Tre stelle di valutazione. E poi Noi credevamo, del 2010. Una storia di Risorgimento. "...È un film di contro epica che finisce per essere epico. È certo potente, saltuariamente grande, non perfetto perché (quasi) nessuno lo è. Rifugge, e non è piccolo merito, dai canoni italiani. La genetica teatrale del regista lo porta a dare il meglio nel kammerspiel, nello spazio stretto e scuro della prigione dove i carbonari si svelano nell'intimo e nella sofferenza."
A Noi credevamo il "Farinotti" aveva assegnato quattro stelle. È un numero che avevo attribuito a gente come Visconti, Fellini, De Sica e pochi altri dell'età dell'oro. Per Il giovane favoloso mi concedo una riflessione. Ma le stelle non saranno poche.

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