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C'è un eroe in Danimarca

In un mondo migliore, gran chiusura della stagione. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

Mikael Persbrandt (60 anni) 25 settembre 1963, Stoccolma (Svezia) - Bilancia. Interpreta Anton nel film di Susanne Bier In un mondo migliore.

lunedì 3 gennaio 2011 - Focus

Sono andato a vedere In un mondo migliore, di Susanne Bier, come mia ultima visione del 2010. Scelta davvero felice. L'indicazione era di Rossella Farinotti, ormai addettissima ai lavori, co-firmataria del dizionario "Farinotti". Mi ha detto "papà, è il tuo film, la storia di un eroe." Chi mi conosce è al corrente di quella mia propensione, una debolezza magari. La mia scarsa simpatia per il cinema contemporaneo, soprattutto italiano, deriva anche da quella mancanza. Non ci sono più eroi, ed è un peccato, perché i film, il racconto in genere davvero non può farne a meno. Il caso ha voluto che a precedere il film fosse il trailer di La bellezza del somaro. Non ho visto quel film, rimango alle indicazioni del montaggio. Mi sembra di capire che si tratti di genitori e figli, contrasti di generazione. Una frase di lancio "Quando ero figlio non contavo un cazzo, adesso sono genitore e non conto un cazzo". Una ragazzina guarda mamma e papà, stravolti "non è che vi drogate in due?". E così via. Castellitto e Mazzantini, roba italiana vista, giardino italiano piccolo. E poi, subito dopo ecco In un mondo migliore, passaggio fulminante: estetica, linguaggio, facce, mondi, proprio opposti. E lo capisci subito perché il cinema italiano, "fuori", non lo vuole nessuno, mentre il film della Bier probabilmente vincerà l'Oscar.

Africa
Le prime sequenze inquadrano Anton in un campo profughi in Africa, i bambini rincorrono festanti la sua macchina. Anton è chirurgo, opera in situazioni estreme. Arrivano donne incinte massacrate in nome di riti tribali, squarciate per scoprire il sesso del feto. E lui affronta tutto, tutto risolve. A fronte di quella civiltà, di quel girone dell'inferno, c'è la sua vita borghese, in Danimarca, forse ancora più difficile.
Rapporto complicato, di sfiducia, dolente, con la moglie. E un figlio, Elias, debole, vessato a scuola, che si appoggia a un suo amico Christian, duro come l'acciaio, un piccolo giustiziere ferito dalla morte della mamma e dalla debolezza del padre. Anton viene aggredito, per una banale lite fra bambini, da un energumeno, accetta gli schiaffi senza reagire. I bambini non capiscono, lo credono un vigliacco. Anton, davanti ai bambini, affronta di nuovo il violento solo per farsi di nuovo schiaffeggiare senza reagire. E spiega la debolezza dell'altro, che sa solo essere violento, un selvaggio senza umanità, e senza ragione. I ragazzi non capiscono, forse. E quando Christian, a suo modo giustiziere, con una bomba rudimentale fa saltare la macchina dell'energumeno, Elias rimane ferito, gravemente. Forse non ce la farà. Christian, che ha capito, sta per gettarsi da un silos, Anton lo salva. Il medico ha affrontato le due violenze, civile e tribale. Dopotutto non così diverse. Ha mediato e ricucito, ha spiegato, ha convinto. Recupera il rapporto con la moglie. Sa risolvere senza violenza, quasi porgendo l'altra guancia. Elias esce dal coma, tornerà come prima.

Violenze
Di nuovo in Africa: arriva al campo, con la sua scorta di criminali armati, il capo assassino, il responsabile di quelle violenze disumane e sproporzionate. Ha una gamba in cancrena. Anton lo cura. Ma quando quel satana si vanta delle sue crudeltà "grande coltello per piccola fica", Anton decide che qualcosa occorre fare. Non c'è proporzione, non ci sono più guance. Lascia che i locali, che lo odiano mortalmente, si vendichino su satana. Eroe calmo, eroe forte. Poi c'è la qualità del film. Bier, cultura nordica, dichiara la sua radice al di là del paesaggio. Non può mancare una memoria di Bergman naturalmente. Ho letto che la regista sarebbe un'allieva di Lars von Trier. Davvero non si vede, semplicemente da un particolare: lei ama la gente, lui la odia. E non ho rilevato neppure segnali del cosiddetto "dogma" trieriano, appunto.

Condiviso
In un mondo migliore è stato condiviso da tutti, critica e pubblico. Prevalgono in quasi tutte le piattaforme, le quattro stelle. Nel quadro del cinema dominante di questo tempo, il 3D, l'animazione, la fantasy stucchevole, il politicamente corretto, insomma di mercato, può accadere che una bella storia si imponga. Una storia che contiene gli elementi normali del racconto, a cominciare dall'eroe, ai quali tutti aspiriamo, semplicemente per umanità. E non c'è niente di male se un film finisce bene.

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