La lotta manichea tra Bene e Male
Si può girarci attorno, piroettare, fare un passo avanti e due indietro, ma alla resa dei conti si torna sempre lì, al 1984 e a Footloose, archetipo di tutti i film sul ballo a venire. L'idea di fondo è la lotta manichea tra Bene e Male. Gli adulti della comunità, capeggiati da un sacerdote (quasi fosse una piramide sociale dell'antico Egitto), sono persuasi che la danza non possa che associarsi al maligno, passando per il caos, e portare dritta alla distruzione; i giovani al contrario, capeggiati da un forestiero - il quale svolge esattamente il ruolo che è del cowboy solitario nel genere western e favorisce, in generale, l'identificazione dello spettatore (che entra con lui nel mondo predisposto dal film) - vogliono ballare per sentirsi liberi, per esprimersi, facendo della danza un sinonimo di vitalità. Sulla pista, dunque, si fronteggiano il Vecchio e il Nuovo, il principio del piacere e il principio di realtà. È chiaro che pomo della discordia è l'uso che la danza fa del corpo: sciolto, disinibito, nudo, nervoso, acrobatico, obbediente al ritmo della musica e a nient'altro. Non a caso, nel film di Herbert Ross ad essere bandita è la musica Rock, non il valzer o il melodramma.
A seguito di questa premessa, è possibile gettare uno sguardo interessante alla produzione cinematografica dell'annata sul tema. Relativamente povera di titoli, specie se confrontata alle uscite in cui è la musica al centro della pellicola – sfide canore, band da formare o da disfare, rivincite da prendersi davanti a un microfono - conta due esemplari diversamente significativi, lontani come due poli opposti.
In attesa che sbarchi da noi il successo inglese di Streetdance 3D, arriva su un paio di sneakers usate Step Up 3D, terzo e auspicabilmente ultimo volume della fortunata serie (evidentemente esauritasi). Il paradigma dell'incontro-scontro tra danza classica e street dance, essendo difficilmente ripresentabile in maniera esplicita al terzo appello, si ritaglia qui uno spazio minimo ma in posizione cruciale, al momento in cui il protagonista maschile, Luke, scopre le verità nascoste della ragazza, ma anche la forza del suo amore per lei, nonostante tutto: ecco allora il tango con le scarpe da ginnastica. Lontano, sul palcoscenico del cinema d'autore, il coreografo è Darren Aronofsky, che sceglie l'arte sulle punte, per la sua parabola visionaria sulla sovrapposizione tra realtà e messa in scena. La Nina di Natalie Portman è chiamata, per copione, ad interpretare le due facce del più classico dei balletti, "Il lago dei cigni" di Tchaikovsky: tutta tecnica e dolcezza istintiva, dovrà andare per la prima volta alla ricerca della sua anima più oscura e da essa lasciarsi possedere. Qui, l'abbandono richiesto dal ballo vertiginoso del cigno nero è l'abbandono ad una sessualità meno trattenuta se non proprio negata fino a quel momento, ma tra la soglia dell'acquisizione piena e quella della follia il confine è finissimo.
Ad un estremo, dunque, l'invito a ballare sulla crisi (le difficoltà economiche del protagonista sono al centro del film in 3D) ma anche la necessità, per i giovani ballerini, di inquadrarsi, di darsi un ordine e una compattezza che rassicuri; all'altro, l'abbandono della sbarra di sicurezza e la scelta di inabissarsi, invece, nella crisi (personale, identitaria) e andare in fondo ad essa, fino alle estreme conseguenze.