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Robin Hood: Scott riscrive storia e leggenda

Ridley Scott presenta a Cannes un Robin politico.
di Pino Farinotti

Digressioni
Robert Taylor (Spangler Arlington Brugh) 5 agosto 1911, Filley (Nebraska - USA) - 8 Giugno 1969, Santa Monica (California - USA). Interpreta Ivanhoe nel film di Richard Thorpe Ivanhoe.

giovedì 13 maggio 2010 - Focus

Digressioni
Sulle licenze e franchigie, e anche immunità del cinema ho scritto più volte: valgono in assoluto. E così Tarantino, una sola citazione esemplare, può far morire Hitler in un teatro. Poi c'è Robin Hood. Che sia scritto, riscritto, adattato, manipolato, è sacrosanto, semplicemente perché l'arciere della foresta non è esistito. Ma re Riccardo cuor di leone e suo fratello Giovanni sono esistiti, e non hanno fatto cose da poco. Succede che negli ultimi anni del dodicesimo secolo Riccardo sia impegnato nella terza crociata. Sconfigge più volte il (feroce) Saladino ma non riesce a riconquistare Gerusalemme ai cristiani. Si imbarca per tornare in Inghilterra dove suo fratello Giovanni (senza terra) trama contro di lui. Durante il ritorno viene catturato da Leopoldo d'Austria. Piccola digressione dal cinema: ce lo racconta Walter Scott attraverso il suo eroe Ivanhoe, un altro che ha salvato l'Inghilterra senza essere esistito. Riccardo viene liberato dal pagamento di un riscatto, torna in patria e sventa le manovre del fratello. È questa, dei Plantageneti, una famiglia strana, con una paradossale inclinazione al perdono. Riccardo I, il padre, aveva perdonato due volte Riccardo che aveva tentato, con delle guerre, di togliergli il trono. Riccardo perdona dunque Giovanni e si rivolge alla Francia, grande nemica, che occupa parre dell'Inghilterra, ma soprattutto occupa possedimenti dei Plantageneti in Francia. Riccardo batte Filippo II re dei francesi e con la tregua di Vernon (1199) torna in possesso delle proprie terre. Poi muore. Gli succede Giovanni, che deve vedersela subito con Filippo che ha riconquistato i feudi perduti con Riccardo. Ma Giovanni non è Riccardo, anche se aiutato dall'imperatore Ottone IV perde tutte le battaglie, si indebolisce anche in patria ed è costretto dai baroni a emanare, nel 1215, la famosa Magna Charta, documento di enorme importata storica che sanciva una, seppure primitiva, forma di parlamento limitando i poteri del sovrano.

Storia
Questa è la storia, poi c'è Ridley Scott. Fa morire Riccardo all'inizio, giusto. Poi c'è Giovanni, aggressivo, viziato oltre il lecito, con un rancore postumo verso il fratello amato dal popolo, che litiga furiosamente con la madre Eleonora di Aquitania, si libera degli antichi collaboratori di Riccardo e si mette nella mani dell'orrendo Godfrey, demonio francese, inventato. E finalmente arriva Robin Hood, che non è il nobile Locksley, come vuole la tradizione, ma è il figlio di Longstride, uno spaccapietre, ma intelligente ed eroico, perché è lui che scrive la Magna Charta. Robin si finge il figlio, morto in battaglia, del vecchio Locksley, che sta al gioco, così come Marian che sarebbe la vedova quasi bianca che non rimane indifferente all'aitante Robin-Crowe, che ha dovuto aiutare a togliersi armatura e sotto-armatura. Robin viene così introdotto nelle altissime sfere e può dire la sua. E la dice, perché in una drammatica riunione fra re, popolo e baroni, estrae la Magna Charta e induce Giovanni ad accettare di firmarla, concedendo così libertà e giustizia al popolo sottomesso. Ma nel momento ufficiale Giovanni tradisce e proclama Robin Hood fuorilegge. Così l'arciere si rifugia nella foresta di Sherwood, con la non più bianca Mariam e col popolo oppresso. E così, alla fine del film, comincia la leggenda che sappiamo. Per quella ci sarà un secondo film, il regista lo ha già annunciato.

Politico
Dunque un Robin politico, astuto, capace di leggere i complicati disegni del potere, certo, di tanto in tanto scocca un freccia, come alla fine quando occorre un'azione liberatoria per togliere di mezzo il diavolo francese Godfrey. Scott aveva dichiarato di aver visto tutti i film sull'eroe di Sherwood, e che il peggiore era quello di Curtiz con Erroll Flynn. Certo i due Robin non si sfiorano. Flynn, più giovane di 17 anni portava quella calzamaglia attillata come una pelle verde, il cappello piumato, ed era sempre lindo e pinto. Detestava gli intrighi, era arrogante e coraggioso, nessuna prudenza o speculazione, aveva umorismo. Ed era nobile. In quei racconti non era immaginabile che l'eroe, seppure "alla mano" e vicino al popolo, non fosse sir. Scott e lo sceneggiatore Brian Helgeland ne fanno il figlio di un illuminato sindacalista ante litteram. E così c'è anche quel tipo di "messaggio". E poi le citazioni: è vero che si respira sempre aria di Gladiatore, per linguaggio e per... Crowe. E c'è un sbarco davvero interessante, magnifica licenza. Scott capovolge l'azione in Normandia del '44. Questa volta il percorso è contrario, dalla costa francese alle scogliere di Dover. Ma i mezzi anfibi di Filippo re di Francia sembrano quelli del soldato Ryan, così come le frecce sembrano le pallottole con le loro traiettorie subacquee. Poi Filippo ci ripensa, torna indietro. L'invasione dell'Inghilterra sarebbe stata davvero troppa licenza, anche per Scott.
E per Robin Hood, che comunque continua a rimanere Erroll.

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