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Storia "poconormale" del cinema: il cinema e l'arte (2)

Una rilettura non convenzionale della Storia del cinema.
di Pino Farinotti

Puntata 59
Fernando Rey 20 settembre 1917, La Coruña (Spagna) - 9 Marzo 1994, Madrid (Spagna). Interpreta Don Jaime nel film di Luis Buñuel Viridiana.

venerdì 9 aprile 2010 - Focus

Puntata 59
Il testo cinema/arte che segue è pubblicato nel volume La Memoria e la visione dei Saggi BUR Rizzoli. Nel quadro delle conferenze, di Palazzo Barberini in Roma, di Pino Farinotti e Massimiliano Finazzer Flory, assessore alla Cultura del Comune di Milano

Notte
El Greco (1541-1614)
Luis Buñuel (1900-1983)

MFF
Ribadendo l'importanza del «sentire» che definisce l'essenza dell'estetica stessa, approfondiamo un possibile collegamento trasversale fra El Greco e Buñuel: la rappresentazione dell'Ultima Cena così come si è tradotta nelle due diverse sensibilità artistiche.
Nell'Ultima Cena, un'opera giovanile, custodita alla Pinacoteca nazionale di Bologna (1568 circa), El Greco costruisce uno spazio prospettico semplice e introduce figure umane che paiono fluttuare. La sua raffigurazione è originale e anticipa elementi stilistici che saranno ripresi nella maturità. Buñuel, nel film Viridiana, del 1961, rivisita l'Ultima Cena con una sua personale chiave di lettura, trasgressiva, dirompente, non priva di una figuratività pittorica di grande impatto visivo. Come possiamo definire questa operazione?

PF
In quel film, dopo il momento lirico, estetico, seppur ironico, dell'Ultima Cena, arriva l'elemento del grande contrasto, della trasgressione violenta, certo alla Buñuel, dunque blasfema. Viridiana, il personaggio descritto nel film, è una ricca ereditiera, che ospita dei derelitti in casa sua, lasciando loro libertà completa. Ma, siccome nessuno sa affrontare la solidarietà e la bontà, si innesca un gioco di sentimenti estremi e di violenze. È il consueto epilogo di Buñuel, che non credeva nella bontà. Nel 1937, quando Franco andò al potere, Buñuel se ne andò via, lasciò il Paese. Fu richiamato dallo stesso dittatore, quando aveva raggiunto ormai fama internazionale. Franco gli commissionò un film e Buñuel realizzò questo, Viridiana. Da quel momento gli fu impedita qualsiasi altra iniziativa. Riguardare il cinema di Buñuel, in un momento come questo, in cui tutto è così frammentario, così facile, è come rifarsi la bocca; rivedere i suoi film fa bene all'estetica e allo spirito, sempre se si trova la chiave giusta, naturalmente, perché Buñuel è davvero dissacrante. Non è necessario condividere le sue idee: i richiami che ci mandano le sue pellicole, l'eco che tramandano da lontano, sono ancora ascoltabili.

MFF
E gli echi arrivano da lontano. Consideriamo le somiglianze con la pittura di Goya, con il suo trattamento della luce, l'esplosione di colori, gli elementi plastici in tele che ci consentono al tempo stesso di essere «all'interno», ma anche «all'esterno» dell'immagine.
Con le Fucilazioni del 3 maggio 1808, conservato al Museo del Prado di Madrid, Goya ferma nel 1814 un drammatico momento della storia di Spagna, di cui fu testimone sei anni prima. Il dipinto, di una estrema modernità, raffigura le vittime come individui identificabili, a differenza dei loro esecutori, grazie alla composizione della luce e alla rappresentazione dei gesti. Come non sottolineare le braccia aperte di uno dei prigionieri che ricorda la figura del Cristo sulla croce? Interessante anche il gioco di sguardi che evidenzia come i componenti del plotone d'esecuzione evitino gli sguardi dei condannati. In questa trama, realismo e simbolismo si intrecciano e paiono riportarci, per assonanza o dissonanza, al cinema di Buñuel e di Almodovar.
Se prendiamo in esame L'angelo sterminatore, di Buñuel, appaiono evidenti in questo film le caratteristiche che Alberto Moravia sottolineava circa la sua opera: «In arte, è un realista, di un realismo frontale, violento, duro, ingenuo, nella tradizione picaresca; ma è anche un fantastico, un magico, un surrealista visionario alla maniera di Goya e di Dalí». Ma come possiamo leggere e interpretare simbolicamente L'angelo sterminatore e il suo enigmatico finale?

PF
Questo film rappresenta l'impotenza di uscire da uno status, lo status della borghesia imprigionata in se stessa, borghesia che Buñuel odia quasi come odia la Chiesa. Gli invitati alla cena non riescono più a uscire dalla villa. Immaginate cosa accadrebbe se tutti noi non potessimo più uscire da questo ambiente perché una forza ce lo impedisce, se fossimo costretti a rimanere tutti qui, per settimane, mesi, dormendo per terra; pensate appunto a cosa potrebbe succedere. Alla fine, nel film, la situazione si risolve ricorrendo all'unica persona giovane, perché è pulita, perché non ha scorie dentro di sé, non ha cultura, e, senza condizionamenti e memo- rie, è in grado di dire: «Io esco da qui» ed esce. È davvero un film importante, questo, forse il migliore di Buñuel, una grande metafora. E la celebre scena della mano, elemento ricorrente nel suo cinema, è una delle sue sequenze più dark. L'altra grande soluzione estetica che rappresenta la sua idea della borghesia è quella di una strada infinita e diritta dove tutti camminano e non arrivano mai da nessuna parte. Un esempio: Il fascino discreto della borghesia.

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Un'altra immagine di grande effetto, che sprofonda l'animo nella notte dell'etica, è contenuta in "Cecità", romanzo in cui il premio Nobel José Saramago denuncia, attraverso la misteriosa epidemia che colpisce «una città qualunque, di un paese qualunque», il male dell'indifferenza, la sopraffazione, la logica del dominio. Perché la cecità – scopriremo – è principalmente di natura morale.
Un'ulteriore e diversa immagine della notte è quella offertaci nel 1889 da Van Gogh ne La notte stellata, dove la città addormentata sembra assistere a una lotta di forze opposte: da un lato «il tendere la mano verso le stelle» da parte dell'uomo, dall'altro il turbinare delle potenze cosmiche. Un'opera che risente dei riflessi della malattia mentale e di una fase di crisi acuta. Van Gogh, poiché avverte la necessità di restare a casa, ricorre all'ausilio di tecniche e stratagemmi per continuare a dipingere, ma non all'aperto dove «prova una sensazione di terribile solitudine». Cambiando prospettiva e focalizzandoci sulla questione della tecnica nel mondo cinematografico, vorrei domandare: quanto contano le nuove tecnologie nelle ricostruzioni storiche e nelle scene di massa?

PF
Per citare un esempio, qui a Roma, nel 1951, fu girato un grandissimo film, Quo Vadis?. C'erano trentamila comparse, c'erano quindi più di trentamila persone sul set, altrettante stanze d'albergo prenotate, tantissimi sarti al lavoro. Tutta Roma fu coinvolta nella lavorazione. Nel Gladiatore di Ridley Scott ci sono trentamila comparse tutte virtuali.
A me piace vedere quelle di Quo Vadis?, mi piace vedere l'Appia Antica quando arriva la legione, nella scena iniziale, e si alza la polvere. Quando si guarda il Gladiatore, tutto è pulito, tutto è perfetto, troppo perfetto; in Troy tutte le navi che vanno verso Troia sono uguali, ben allineate. La mia generazione non ama questa violenza estetica che dà il computer. Non ho però la presunzione di dire che ho ragione io a essere infastidito dall'effetto del computer. I nostri figli si sono assuefatti a questa estetica, hanno accettato il computer con i suoi risultati, che possono andar bene ed essere funzionali; fa parte del nostro tempo. La questione dell'estetica di oggi in rapporto alla tecnica pone un quesito importante, ma che rimane aperto. Per tornare al cinema di Buñuel e all'impossibilità della bontà, pensavo alla sua pellicola del 1965, Simon del deserto, in cui un monaco del V secolo, che vive in cima a una colonna in meditazione, entra in dialogo con se stesso a tal punto da fare un salto in avanti e finire, con un balzo temporale di secoli, a New York, in un locale, nel ventesimo secolo. In quel film c'è una scena interessante, in cui un contadino, che ha moglie e un bambino, ed è privo delle mani, chiede all'asceta il miracolo di riavere le mani e poter dunque ricominciare a lavorare e sostenere la sua famiglia. Nella scena successiva si vede il contadino che ha di nuovo le mani e come prima azione appioppa un sonoro schiaffo al suo bambino perché lo ha infastidito.

MFF
Desidero fare un cenno, in conclusione, a un problema di natura estetica per quanto concerne la fruizione dei film sul piccolo schermo. Mentre vediamo un film alla televisione siamo interrotti dalla pubblicità che, inevitabilmente, spezza la continuità della visione. Potremmo allora domandarci: il cinema in televisione è ancora cinema? Quanto può condizionare la pausa pubblicitaria?

PF
Non si può farne a meno, purtroppo. Scorsese, quando realizza i suoi film, li progetta in modo da lasciare spazio alle quattro interruzioni pubblicitarie. E per fortuna, in televisione, i grandi film passano a ore della tarda notte, in cui la pubblicità è pochissima.

MFF
In chiusura, vorrei rilevare un tratto che mi pare comune alle due personalità artistiche di El Greco e Buñuel. Entrambi possono essere inscritti in quelle avanguardie intellettuali che definirei con un termine in apparenza contraddittorio «conservatrici», là dove «conservazione» indica la capacità di «conservare» un mistero che giunge fino a noi intatto. Ricordando la provocazione di Buñuel in Dei miei sospiri estremi: «Proposi di bruciare il negativo del film in Place du Tertre a Montmartre. Lo avrei fatto senza la minima esitazione, lo giuro, se avessero accettato. Immagino spesso, nel mio giardinetto, un rogo dove bruciare allegramente tutti i negativi, tutte le copie dei miei film [...]. Ma la proposta fu respinta».

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