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Il passato è una terra straniera, un inusuale thriller di formazione

Il nuovo film di Daniele Vicari al Festival del Cinema di Roma.
di Gabriele Niola

Violenza, poker e cocaina tra Elio Germano e Michele Riondino
Michele Riondino (45 anni) 14 marzo 1979, Taranto (Italia) - Pesci. Interpreta Francesco nel film di Daniele Vicari Il passato è una terra straniera.

domenica 26 ottobre 2008 - Incontri

Violenza, poker e cocaina tra Elio Germano e Michele Riondino
Ancora un film di genere per il Festival del Film di Roma ma questa volta insospettabilmente italiano. È infatti lo stesso Vicari che ha definito il suo Il passato è una terra straniera come film di genere, anche se non crede molto nell'utilità di tale definizione: "I generi ormai si mescolano in maniera inestricabile, le denominazioni thriller psicologico o romanzo di formazione sono definizioni di comodo utili a discutere".
E la discussione c'è stata come avviene ogni qualvolta un film italiano tenta di avventurarsi nel territorio del thriller e del poliziesco senza guardare ai modelli americani più scontati e nemmeno a quelli nostrani.
Con dietro le spalle l'omonimo libro di Gianrico Carofiglio (di cui hanno ammesso tutti è stata usata solo una parte) Daniele Vicari ha orchestrato assieme ai suoi sceneggiatori una storia dall'impianto molto simile a quello di un altro suo film Velocità massima: due uomini che collaborano "professionalmente" nel cui rapporto si inseriscono anche i legami personali che stringono con altre persone.

Al cinema come al teatro
È stata un'esperienza diversa dal solito anche perchè c'è stata una preparazione abbastanza rigida, molto simile a quella teatrale" spiega Michele Riondino che assieme ad Elio Germano è uno dei due protagonisti del film "Siamo andati a fondo negli argomenti trattati e quindi nel disagio di due individui che vengono da due realtà diverse e che sono solo apparentemente diversi".
Molte prove e pochi ciak ripetuti per interiorizzare le scene e imparare ad essere quei personaggi: "il romanzo già era moto ben congegnato e noi dovevamo solo umanizzare tutti gli aspetti per riportarlo a qualcosa di riconoscibile da tutti" è il parere di Elio Germano "È un film che si racconta più in quello non vediamo o non diciamo che in quello che viene detto o visto. Il nostro lavoro era proprio nel costruire il non detto". Una cosa decisamente non facile che, ha ripetuto Michele Riondino, i due attori hanno affrontato sia da soli che insieme: "La preparazione è stata individuale prima dell'inizio delle riprese poi ci siamo incontrati e abbiamo lavorato nell'ottica della riduzione delle parole. L'abbiamo fatto mettendocele in bocca, siamo entrati in simbiosi con il personaggio, abbiamo anche giocato a carte come si fa poi nel film".
Ma alla fine ricorda Germano l'essenza è lasciarsi stupire dal personaggio e non cedere alla tentazione di pilotarlo: "Dal punto di vista del racconto ho approcciato il cambiamento che subisco nel corso della storia in modo che non fosse qualcosa da giudicare ma un'apertura che mi libera. L'idea è che il mio personaggio è più felice proprio quando quello che fa è meno condivisibile dallo spettatore, come se la sua esigenza fosse essere dopo una vita passata ad apparire".

Una violenza anche troppo reale per Elio Germano
Con un testo incentrato molto sulla violenza e la volontà di fare un film a tinte forti che non risparmi crudezza allo spettatore era necessario per gli attori prepararsi adeguatamente alle scene più dure. Lo stesso regista spiega come abbia capito solo con questo film il segreto delle scene di azione e quindi spesso anche di violenza: "Mi pongo sempre il problema di come fare le scene d'azione e stavota abbiamo scoperto tutti insieme che le scene violente in un film o sono studiate come una danza o non si possono fare. La danza porta armonia e così anche le sequenze più violente assumono un senso e un significato. La loro riuscita dunque è dovuta al fatto che gli attori, guidati da uno stuntman, hanno imparato i vari movimenti come passi di ballo, in maniera precisissima. Infatti dove la precisione non ha funzionato si sono fatti male, Elio ha preso anche un cazzotto in bocca".
E non è stato l'unico inconveniente per Germano che secondo Maria Jurado si è fatto male anche in una scena di violenza che la coinvolge: "Io ho lavorato con un preparatore e anche Elio solo che io non mi sono fatta niente invece Elio, siccome la camera era molto vicina e lui stava per terra quindi non potevamo mettere delle protezioni, alla fine si è ritrovato dei lividi che ha tenuto per due settimane".
Un po' più sconvolta è invece apparsa Valentina Lodovini, l'altra ragazza coinvolta in una scena di violenza: "C'era un clima molto sereno sul set. Ho avuto dei compagni straordinari come Elio e Michele che mi hanno accolto benissimo. ma poi è subentrata una certa tensione perchè si è verificato l'hic et nunc che ci si augura sempre nel cinema. Io quelle scene le temevo molto perchè sono pericolose per la macchina da presa ma alla fine il garbo di Daniele ha fatto il miracolo. Nonostante la preparazione con il maestro d'armi ce le abbia fatte sembrare inizialmente un gioco poi durante la scena c'è stato un momento di grande tensione e io ho cominciato a sentirmi meno sicura. In scena infatti c'era la giusta tensione che doveva esserci".

Dal libro allo schermo assecondando il tema dell'identità
Uno dei temi che attraversano Il passato è una terra straniera è sicuramente quello dell'identità, il contrasto tra ciò che si deve essere per i condizionamenti esterni e ciò che invece si vuole essere, e Daniele Vicari ci tiene a rimarcare la sua importanza soprattutto a partire dal fatto che è la lettura del libro che hanno prediletto: "Per fare questo film occorrevano scelte anche radicali ma grazie al cielo un regista non è mai solo, ci sono sceneggiatori che se sono bravi conducono la narrazione lì dove produce senso". A lui fa eco proprio uno degli scenggiatori, Massimo Gaudioso, che precisa come "il libro era orchestrato su due piani, il racconto e l'inchiesta, per fare il film però ne abbiamo dovuto scarificare uno. E' stato scelto il rapporto tra i due ragazzi perchè tutto sommato già in questa vicenda c'era il discorso sull'identità che era quello che ci interessava di più".
E alla fine anche Gianrico Carofiglio, autore dell'omonimo romanzo da cui è stato tratto il film si dice soddisfatto: "Bisogna accettare che la sceneggiatura sarà diversa dal libro e il film diverso dalla sceneggiatura. Io l'ho accettato e ho apprezzato come l'opera di Daniele prenda un aspetto del mio libro e scruti esclusivamente quella, come è giusto. Perchè i film che replicano i libri sono piatti".
Ma perchè concentrarsi sul tema dell'identità? Non è certo un caso e ci tiene a spiegarlo Daniele Vicari stesso: "Questo problema dell'identità del protagonista è davvero la cosa che più mi ha spinto a fare film. Mi sembra un argomento centrale di questo momento che viviamo. Anche dal punto di vista culturale in molti ambiti ci stiamo interrogando su cosa siamo o cosa crediamo di essere. Il libro mi ha ricoradato i romanzi dell'ottocento dove alcuni personaggi vivono a cavallo tra due tempi e non sanno nemmeno loro cosa sono".

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