di Gabriele Niola
Nel laboratorio di Renton qualcosa non va. Sta lavorando ad una sorgente d'energia nuova e rivoluzionaria quando un piccolo commando irrompe in camera da letto, lo prende in ostaggio, lo interroga e lo fa fuori. Per Renton non è finita qui però perché la scena ricomincia, di nuovo il commando entra e poi ancora e ancora fino a che non ha imparato cosa accade e come salvarsi la vita.
Sono le premesse micidiali di ARQ, thriller di fantascienza che Netflix fa esordire contemporaneamente in tutto il mondo il 16 Settembre (oggi). La dinamica di Edge of Tomorrow unita ad uno scenario da garage come in Primer, una posta in ballo alta come in Looper e un meccanismo di suspense simile a Source Code. Sono i film in cui il tempo si avvolge in un loop, l'eredità di storie su cui si basa ARQ.
In questo film però il principio della ripetizione continua è solo l'inizio. Ci sono uomini e donne che lottano per il controllo di una tecnologia che potrebbe cambiare gli equilibri nel pianeta e soprattutto Renton scoprirà di non essere il solo a rivivere sempre lo stesso momento. Quel che pensiamo di aver imparato da molti film di fantascienza e non sulla dinamica della ripetizione viene di colpo allargato.
Paradossamente il loop temporale come concetto cinematografico non l'ha reso famoso un film di fantascienza ma una commedia. Prima di tutti i film elencati infatti viene Bill Murray. Harold Ramis con Ricomincio da capo nel 1993 inventa l'idea di una persona condannata a rivivere sempre lo stesso identico giorno, tutto uguale tranne lui che mantiene la memoria di cosa sia accaduto ogni volta che ricomincia la medesima giornata. Morire non serve a niente e non c'è via d'uscita se non rivivere ad oltranza fino a diventarne il Dio di quelle 24 ore, il sommo conoscitore di ogni foglia che si muove, ogni persona in pericolo e ogni cittadino da accudire e custodire almeno in quella giornata. E se si eccettua Time Cop, il film con Jean Claude Van Damme uscito solo un anno dopo quello di Ramis, ci sono voluti almeno 20 anni perché la fantascienza si accorgesse di quanto quest'idea potesse tornargli utile.
Adesso ARQ si rifà esattamente a queste due matrici, proponendo una storia di ripetizione e sorveglianza, un'avventura innestata su un meccanismo figlio della lezione di un pugno di film che negli anni 2000 hanno lavorato sul rapporto che il tempo può avere con la narrazione.
In primis Primer, opera indipendente girata in un digitale a bassa qualità (era anche il 2004) a budget quasi inesistente ma con un'idea dietro fulminante e una struttura narrativa perfetta per innalzarla. Due ragazzi in un garage inventano una macchina del tempo per errore, una con un funzionamento particolare: non consente di viaggiare a piacimento ma, una volta accesa, consente di tornare indietro solo ed unicamente al momento dell'accensione. Questo darà vita a molte diverse iterazioni e a molti "doppi" dei protagonisti, più saggi e con più conoscenza di ciò che è successo.
È infatti la consapevolezza e la conoscenza del futuro l'idea alla base del loop cinematografico: il personaggio e il pubblico sanno cosa accadrà, così il regista fa bene attenzione a mostrare tutto sempre tramite le medesime inquadrature e i medesimi tagli, cioè a replicare non solo gli eventi ma anche la messa in scena, perché quella è la maniera in cui ogni spettatore ha esperienza del momento narrato. ARQ da questo parte, dalla capacità di prevedere gli eventi e su questa certezza lavora per i suoi colpi di scena e le sue novità.
Dopo i primi esperimenti infatti negli ultimissimi anni il concetto di loop è stato allargato e le sue possibilità narrative sono state ampliate da alcuni film sia indipendenti che ad alto budget. Il primo a riportarlo in auge riprendendo l'idea di Harold Ramis e aggiungendo l'espediente hitchcockiano di una bomba che ticchetta da qualche parte è stato Duncan Jones con Source Code. Il film metteva Jake Gyllenhaal su un treno (altro elemento che guarda molto ad Hitchcock e che il cinema americano sfrutta sempre poco) e lo costringeva a vivere il medesimo attentato fino a che non fosse riuscito a sventarlo. Di iterazione in iterazione il protagonista doveva capire chi potesse essere l'attentatore, dove potesse stare la bomba e quindi riuscire a sventare tutto. Come in un videogioco ogni volta che falliva moriva per tornare in vita con maggiore consapevolezza e maggiori possibilità di farcela.
È proprio l'aumento di interesse del mondo nei confronti dei videogiochi una delle cause per le quali i film con i loop sono sempre più parte del cinema. Quel meccanismo di ripetizione ad oltranza fino a che non si riesce a non morire da lì viene ed è uno dei ponti più efficaci tra la forma d'espressione audiovisiva più vecchia che ci sia e una delle più giovani. Si tratta di un mix a cui ARQ aggiunge anche uno scenario distopico ampio e pieno di sfaccettature. Ci sono fonti di energia, c'è una mitologia solida su cui fondare la storia e anche un villain bene identificato.
Non causalmente forse è la medesima linea evolutiva sulla quale si è mosso Edge of Tomorrow, il film con Tom Cruise tratto dalla light novel (cioè il romanzo illustrato) "All You Need is Kills" di Hiroshi Sakurazaka. Lì un soldato veniva costretto a combattere una razza aliena ma invece che morire per inesperienza al primo giorno di battaglia ricominciava la sua giornata ad oltranza. Dopo aver scoperto di non essere il primo a cui è capitato e che si tratta di un'abilità che gli viene dall'essere entrato in contatto con un alieno smetterà di cercare di sopravvivere e comincerà a cercare di sradicare il problema alla fonte.