Bergman 100 - La vita, i segreti, il genio

Film 2018 | Documentario +13 117 min.

Regia di Jane Magnusson. Un film Da vedere 2018 con Ingmar Bergman, Lena Endre, Thorsten Flinck, Elliott Gould, Jane Magnusson. Cast completo Titolo originale: Bergman: A Year in a Life. Genere Documentario - Svezia, 2018, durata 117 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 - MYmonetro 3,23 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento venerdì 29 giugno 2018

L'esplorazione dell'anno 1957 nella vita del grande maestro svedese Ingmar Bergman. Ha vinto un premio ai European Film Awards,

Bergman 100 - La vita, i segreti, il genio è disponibile a Noleggio e in Digital Download
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Consigliato sì!
3,23/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 2,95
CONSIGLIATO SÌ
Un adagio ben documentato che si prende il tempo per essere critico col suo soggetto.
Recensione di Marzia Gandolfi
martedì 19 giugno 2018
Recensione di Marzia Gandolfi
martedì 19 giugno 2018

Due première mondiali, due film girati, una serie televisiva in onda, quattro pièce messe in scena, una moglie, due amanti, sei figli...il 1957 fu un anno di straordinaria produttività culturale e affettiva per Ingmar Bergman. Il suo nome avrebbe finito da quel momento per incarnare il passaggio del cinema da divertissement di massa ad arte sofisticata del XX secolo. Dietro questa 'investitura', a cui non si può ridurre, Bergman fu un uomo di carne e di sangue che ricuciva con la sua creazione una vita piena di inquietudine e furore introspettivo. Bergman è tutto nei suoi film. Illusionista e primo delatore di quell'illusione, vulnerabile e accessibile, umano e inafferrabile.

Attraverso il prisma di un anno magico, che farà di Bergman lo "svedese" più famoso al mondo, almeno fino a quello inventato da Roth ("Pastorale americana"), Bergman 100 - La vita, i segreti, il genio è un adagio ben documentato che si prende il suo tempo per essere critico col suo soggetto.

Un soggetto che resta un paradosso per il suo paese di origine, i cui omaggi traducono spesso un sentimento ambiguo, un mélange di devozione e indifferenza, di ammirazione e di diffidenza. Da una parte il genio-tiranno, incontestato in materia culturale, che regnava sul suo regno con pugno di ferro e dall'altra il monumento nazionale, l'artista come non ce ne sarà mai più un altro in Svezia. Il documentario, consacrato a Bergman in occasione del suo centenario (1918-2018), illustra questa ambivalenza, muovendosi nelle ombre che tessono la leggenda.

Jane Magnusson approccia Bergman e la sua opera la prima volta nel 2013 (Trespassing Bergman), interrogando Wes Anderson, Claire Denis, Martin Scorsese, Michael Haneke, Alejandro Iñárritu, Zhang Yimou sul lavoro dell'autore e il suo tema ricorrente: la morte. Lucida e preparata, la Magnusson ritorna (idealmente) sull'isola mitica di Fårö, dove Bergman fece costruire la sua casa, visse fino alla morte nel 2007 e spinse più lontano il tema del doppio con una serie di film insulari battuti dai venti implacabili della morte e della ricerca espiatoria con l'attore Max von Sydow, alter ego dell'autore.

Il documentario sfoglia le immagini inedite dei making of dei film di Bergman e incontra registi e attori, produttori e maestranze, testimoni delle sue incongruenze, delle tentazioni nichiliste, delle gioie, delle macerazioni, dei desideri, degli abissi, dei silenzi, dell'intelligenza eccezionale, del feroce appetito di vita e della sua produzione ricca e complessa che rifiuta etichette sommarie. Regista del desiderio e della metafisica, il suo cinema flirta più spesso con la mostruosità che con lo sfolgorio accecante perché Bergman è prima di tutto autore perturbante dei conflitti interiori, che governano e sprofondano l'animo umano. L'idea dell'autrice si concentra sull'anno 1957 e sulla sua eredità estetica. Nel corso del '57, Bergman presenta al pubblico Il settimo sigillo e Luce nella notte (di cui è co-sceneggiatore), scrive e gira Il posto delle fragole e Alle soglie della vita, produce a teatro il suo "Peer Gynt" di cinque ore e lo stupefacente "Misantropo" di Molière con Thorsten Flinck, due drammi radiofonici, una produzione televisiva (Mr. Sleeman is Coming), trovando il tempo tra bruciori di stomaco e distress cronico di gestire simultaneamente tre relazioni sentimentali e l'attività genitoriale di cinque o sei figli, lui stesso non sembrava troppo sicuro del totale. Scorrere quest'anno straordinario dimostra quanto Bergman fosse refrattario al registro unico, quello dello psicodramma greve in bianco e nero, e irriducibile a un'espressione artistica esclusiva, tra le altre cose fu il pioniere del telefilm.

Una delle qualità del documentario è di rendere (pienamente) conto della diversità e della ricchezza della sua opera, senza perdere di vista le sue ossessioni di autore. Integrando le sue analisi con le referenze di altri artisti o testimoni del lavoro di Bergman, la Magnusson traccia con intelligenza le tante maniere in cui il suo vissuto familiare ha impressionato il suo cinema. Ossessionato dalla morte, che interroga senza fine il senso della vita e il terribile "silenzio di Dio", i suoi turbamenti etici sono sempre andati di pari passo con le sue ricerche formali. Non senza contraddizioni, abilmente sollevate dalla Magnusson, che fanno del suo cinema il luogo di immagini dell'impossibile e insieme di vita concreta. Il metodo della realizzatrice, che incrocia le dichiarazioni preziose di Liv Ullmann, Roy Andersson, Lars von Trier, Gunnel Lindblom, Elliott Gould, le permette di spingersi oltre le boe gialle di sicurezza, avventurandosi in mare aperto, in territori problematici come l'ammirazione ingenua e schietta che il regista esprimeva per la Germania nazista, durante la sua giovinezza, le tendenze totalitarie quando dirigeva gli attori o viveva le relazioni sentimentali.

Come disegno melodico secondario, sovrapposto e sottoposto a quello principale, la regista introduce poi l'intervista di Dag Bergman, fratello maggiore di Ingmar, registrata nel 1977 a Macao, destinata alla televisione ma mai diffusa per ordine di un artista che tutto poteva. Dag rivendica per sé tutti gli schiaffi e le angherie del genitore, un destino che a sua volta Bergman non ha smesso di reclamare nei suoi film e nella sua celebre biografia ("Lanterna magica"): libro di memorie sull'infanzia di tenebre di un bambino terrorizzato da un padre pastore e soffocato da un'educazione rigida, che il documentario invita a leggere con prudenza. Vittima o testimone, quel terrore familiare ha acceso la sua fiamma creatrice e nutrito la sua opera immensa. Artista della carne che esplora i volti come scena, Ingmar Bergman non si rimetterà più dalla meraviglia dei suoi dieci anni davanti al più bello dei regali: una lanterna magica. E il cinema di Bergman è la lanterna magica: proiezione di spettri su uno schermo-sindone, nascita di immagini sul muro nero dell'infanzia. Vita, eros, morte ma soprattutto trasfigurazione.

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RECENSIONI DALLA PARTE DEL PUBBLICO
venerdì 20 novembre 2020
figliounico

Il documentario, che suscita estremo interesse ed al contempo irritazione e fastidio, è incentrato più sulla vita privata che sulle opere di Bergman, focalizzando l’attenzione su di un anno, particolarmente prolifico della sua produzione cinematografica e teatrale, il 1957, e da quello si irradia nel passato fino all’infanzia del regista, ricordata in una sgradevole intervista [...] Vai alla recensione »

NEWS
GUARDA L'INIZIO
giovedì 5 luglio 2018
 

Nell'arco di sei anni, a metà del ventesimo secolo, accade qualcosa di inedito e che resterà ineguagliato. Un allampanato regista svedese, sull'orlo della quarantina, entra in un periodo di produzione cinematografica senza precedenti.

VIDEO RECENSIONE
venerdì 29 giugno 2018
A cura della redazione

Due première mondiali, due film girati, una serie televisiva, quattro pièce teatrali, una moglie, due amanti, sei figli. Il 1957 fu un anno di straordinaria produttività per Ingmar Bergman. Il suo nome da quel momento avrebbe incarnato il passaggio del [...]

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