Il futurismo cibernetico di Ghost in the Shell, nato dalla mente e dal disegno di Masamune Shirow ormai più di venticinque anni fa, ha conosciuto la trasposizione per il grande schermo con i due anime di Mamoru Oshii, del 1995 e del 2004, mirabile fusione di animazione tradizionale e computerizzata, cui segue ora il live action di Rupert Sanders che riporta al cinema il Maggiore Mira e la sua Sezione 9, impegnata a combattere crimini cibernetici.

Affidare l'adattamento di un cult dell'anime a una produzione americana può comportare dei rischi, tra cui deludere fazioni di fan per la presunta poca fedeltà con il testo originario. La scelta di Scarlett Johansson come attrice protagonista, se pur abbia fatto discutere (con accuse di whitewashing), risulta azzeccata: l'attrice, abituata a ruoli d'azione, possiede la fisicità adatta per incarnare l'ibrido umano-cyborg, unico della sua specie, di cui sottolinea il corpo robotico con movimenti meccanici.

La presenza della star e lo sforzo del regista di limitare la complessità della trama originaria fanno del film un tentativo riuscito di rendere maggiormente fruibile un'opera ostica e profonda e di sdoganare l'arte animata giapponese al grande pubblico mondiale. Prelevando fedelmente alcuni episodi dalla trama degli anime e tralasciandone molti altri, l'opera di Sanders non dimentica i colori e le ambientazioni che Oshii realizzò avendo ben presente la metropoli ipertecnologica e decadente di Blade Runner, ma li conserva, potenziandoli con grandiosi effetti speciali che, inseme al 3D, regalano un'esperienza cinematografica travolgente.

Il film, rispetto ai due predecessori "animati", si differenzia principalmente nel dare più spazio alla vicenda personale del Maggiore e nel prediligere l'azione a scapito dell'elemento introspettivo. Gli anime sono più profondi e psicologici e dedicano intere scene a considerazioni sulla vita virtuale e sul senso di inadeguatezza tipico dei cyborg: riflessioni universali sulla differenza tra uomo e macchina, pregne di riferimenti filosofici (Confucio, Cartesio, Milton), che nel film di Sanders si esauriscono nei dubbi del Maggiore sul proprio passato (la memoria è parte della nostra anima, qualunque sia la natura del corpo in cui è racchiusa) funzionali solo allo smascheramento di un complotto.

Quella che all'epoca del manga (prima dell'avvento di internet) e del primo anime appariva come un'inquietante profezia, oggi, nel film di Sanders, è un futuro già attuale.

La desolazione post-apocalittica della metropoli, tra ologrammi pubblicitari luccicanti e cupi vicoli in disfacimento, rende l'esistenza invivibile e alienante. In questo scenario tipico del cinema cyberpunk - di cui Ghost in the Shell è massimo rappresentante - uomini e cyborg si confondono e hacker cercano di manipolare cervelli informatici impiantati in corpi umani. Il film ci lascia con un quesito: che ruolo ha l'uomo in un mondo in cui la tecnologia è ormai arrivata a mortificarlo, se non addirittura a sostituirlo?