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Lo Stato contro Fritz Bauer e il riscatto dell'ingiustizia

Il cinema ricomincia a fare i conti con i fantasmi e il passato sepolto.
di Roy Menarini

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lunedì 2 maggio 2016 - Focus

I fantasmi si riaffacciano. Non è pensabile che la recente attenzione del cinema tedesco al periodo del post-nazismo (la fase che si estende dall'immediato dopoguerra fino agli anni Settanta, in cui vi furono precise responsabilità governative e imprenditoriali nel nascondere le ferite del passato) sia frutto di un semplice ciclo storico.

È vero che la nuova generazione di registi, quali Giulio Ricciarelli (Il labirinto del silenzio) e Lars Kraume, del qui citato Lo stato contro Fritz Bauer, prende il testimone dalle mani di altri, forse più titolati, cineasti del passato (Rainer Werner Fassbinder e Volker Schlondorff su tutti), che combattevano furiosamente contro lo Stato tedesco e le sue ipocrisie in epoca di forti contrapposizioni ideologiche.
Roy Menarini

Eppure, anche oggi questi film non escono certo in un contesto pacificato. Se da una parte la political correctness garantisce che non si facciano sconti ai premier e ai governi del passato (per esempio Adenauer in questo caso), dall'altra le storie sembrano incidere su un tessuto sociale vivo e drammaticamente attuale.
La Germania, ma ancora di più l'Europa intera, è attraversata da spasmi populisti e tentazioni autoritarie che sembrano pescare a piene mani in bacini demografici depressi e spaventati dalle ondate migratorie. Che non si tratti di uno scherzo, lo dimostrano gli atti concreti che - dall'Ungheria alla Polonia, dalla Macedonia all'Austria - ad alcuni ricordano spettri del passato.


Una scena tratta da Lo stato contro Fritz Bauer.
Una scena tratta da Lo stato contro Fritz Bauer.
Una scena tratta da Lo stato contro Fritz Bauer.

Senza voler drammatizzare a tutti i costi, sembra verosimile che (consciamente o meno) il cinema ricominci a fare i conti col passato sepolto, per esorcizzare non più la vergogna dei padri (il nazionalsocialismo e l'acquiescenza di una parte della società), quanto la paura per i figli.

La vicenda paradossale, che nelle mani di registi come Polanski o Herzog avrebbe potuto diventare kafkiana e grottesca, di un cittadino tedesco accusato di cospirazione per aver osato e usato tutti i mezzi diplomatici allo scopo di catturare Eichmann, lascia esterrefatti.
Roy Menarini

E, per quanto sia vero che Kraume rifiuta elementi vistosi di messa in scena e non osa stilisticamente, bisogna anche ricordare che il ruolo del cinema in questi ultimi anni sta cambiando: non più il territorio alternativo nel quale, come nelle nuove onde, la decostruzione delle verità ufficiali si accompagna al sabotaggio dei codici e dei linguaggi, bensì il luogo nobile della memoria e della Storia (al maiuscolo), assediate dall'informazione vaporizzata, caotica e multidirezionale dei media digitali.
Questo ruolo di ricostruzione del Novecento, di civismo storiografico, di riscatto delle ingiustizie subite da uomini memorabili appartiene sempre più a un cinema d'autore internazionale e paneuropeo, che pare privilegiare forme filmiche semplificate e strutture trasparenti, quasi a non voler rischiare l'autoghettizzazione. Si tratta di una scelta espressiva precisa, che una volta avremmo definito "cinema medio", e che forse bada più ai contenuti che all'opzione artistica. Eppure, non si vede perché bisognerebbe rifiutarne i presupposti.


Una scena tratta da Lo stato contro Fritz Bauer.
Una scena tratta da Lo stato contro Fritz Bauer.
Una scena tratta da Lo stato contro Fritz Bauer.

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