Nel 2060 la Terra è ormai senza risorse alimentari e sotto l’ assedio di una misteriosa piaga. Improvvise tempeste di sabbia coprono ogni cosa, i giorni sono cupi e la razza umana è sull’ orlo dell’ estinzione. In un punto imprecisato di un’ America diversamente civilizzata vive un nucleo familiare composto da Cooper, capo-famiglia ex pilota di jet oltre che esperto agricoltore, i figli Tom e Murphy e nonno Donald. A seguito di strani fenomeni magnetici verificatisi nella stanza di “Murph”, ragazza dallo spiccato intelletto ma con tendenze ribelli, padre e figlia scoprono strane coordinate apparse inspiegabilmente sul pavimento e, scegliendo di assecondarle, raggiungono dopo un breve viaggio in auto nientemeno che il quartier generale della NASA. Da molti anni le esplorazioni scientifiche sono illegali e i governi hanno deciso di orientare i propri sforzi verso la salvaguardia della vita sulla Terra rispetto alla ricerca spaziale, e allora perché una base segreta dell’ agenzia che un tempo era la più importante del mondo? Le risposte vengono presto dispensate: l’ uomo è ormai un morto che cammina, perfino l’ allunaggio è stato dichiarato nient’ altro che un enorme bluff propagandistico servito solo all’ affondamento economico dell’ URSS; i voli interstellari non interessano più nessuno ma, alla fine del percorso, la natura ha smesso di funzionare ed ecco che le uniche speranze di dare un seguito alla nostra specie ricadono comunque sulla scienza ed in particolare sulle ricerche del professor Brand, il quale scopre una scorciatoia spazio-tempo (chiamata in gergo warmhole, “buco di verme”) apparsa nei dintorni di Saturno e che potrebbe consentire di accorciare i viaggi intergalattici. Ma l’ unico modo per arrivarci ed attraversarla è affidarsi all’ ultimo pilota esperto rimasto sul nostro pianeta, dunque ecco spiegato l’ insolito “invito” rivolto a Cooper.
Pur indeciso, egli accetta l’ incarico ben sapendo di dover abbandonare i figli e proprio per questo Murph non la prende bene, avendo già perso la madre, scegliendo la linea dura e negando il saluto al papà in procinto di partire per un viaggio che, al 99%, sarà senza ritorno e che sin da subito pare essere ai limiti dell’ impossibile. L’ astronave Endurance traghetta 3 uomini più la figlia di Brand, Amelia, nell’ esplorazione più importante della Storia, con a bordo due robot tuttofare dalle forme stravaganti.
Il film di Nolan va diviso in 3 fasi: c’è un incipt molto soft e poco fantascientifico dove viene messa in risalto la figura di Murph, oltre che dare spazio ai princìpi base dell’ agricoltura ed allo stato sociale a cui il mondo si è dovuto allineare. La parte centrale è pura azione, senza pausa, ove il bravo Matthew McConaughey prende il timone e consegna il pacco in orario, tra il risveglio dall’ ipersonno (Pandorum) e conflitti interiori, riuscendo a tenere testa alle idee del regista. Nel finale dell’ opera, come diversi illustri critici hanno già messo in risalto, Nolan attinge a piene mani da Kubrick, cercando di spalmare filosofia sul toast fatto di tecniche ed immagini indubbiamente fascinose, allorquando il vascello entra nel tunnel spazio-temporale per poi raggiungere uno ad uno i 3 esopianeti che presumibilmente possono garantire l’ attecchimento dei “semi” dell’ uomo, scopo vero di una missione fatta di bugie e colpi di scena. Il buco nero “Gargantua” fa da traino (in senso lato, visto che inghiotte ogni cosa abbia una massa nei suoi dintorni) ai restanti 30 minuti ove viene fuori il Cristopher Nolan che conosciamo, quello delle curvature della materia, ed in particolare dei paesaggi, già vista in Inception, quel Nolan che mette in scena il “tesseratto” (Cube, Hypercube), un vero rompicapo come del resto tutta la sceneggiatura e come quasi tutta la sua filmografia che ha come fil rouge la complessità delle storie. Interstellar (USA, UK, 2014) è un puzzle di fisica quantistica e antimateria, un mix di scienza pura, presa in prestito dal fisico americano Thorne, gran sostenitore di viaggi interstellari, e fantascienza vera e propria che sfocia altresì, e solo per alcuni tratti, nel fantasy in stile A.I., anche se in maniera non troppo spinta. Nel complesso il lungometraggio si fa guardare nonostante l’ eccessiva durata (quasi necessaria per questa tipologia di film) e verrà ricordato per il finale atipico. Faccio notare le prove della Hathaway, senza troppi virtuosismi, e del grande Michael Caine, perfetto nel ruolo dello scienziato che muore senza aver risolto l’ ultima equazione, fondamentale per lui e per l’ umanità. Ma purtroppo c’ è il classico personaggio senza il quale la fine dei giorni sarebbe inevitabile e non si tratta del pilota ma di sua figlia e, a guardar bene, dell’ amore stesso, e qui certamente un piccolo richiamo ad Il Quinto Elemento è d’ obbligo e forse è proprio questo il limite di un film interessante ma troppo banale nella scelta della soluzione, pur nel labirintico plot. Nota stonata la presenza di Matt Damon nei panni di uno dei 3 esploratori partiti anni prima alla scoperta dei pianeti papabili: poteva essere scelto qualcuno più credibile? Si, con tutto il rispetto per il biondo interprete bravissimo in pellicole ambientate sulla Terra.
Questo, dicevo, è indubbiamente un bel film ma è inutile fare paragoni, 2001: Odissea nello spazio è ancora lontano anni luce e non c’ è warmhole che possa accorciare distanze da quell’ opera e non c’è robot più o meno mobile che possa sostituirsi ad HAL9000. Almeno al momento quel capolavoro resta inarrivabile.
Voto: 7,5 (soprattutto per gli effetti visivi e la tesissima colonna sonora)
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