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Masquerade, il gioco del sosia e una lezione sul potere

Intervista a Choo Chang-min, regista del kolossal coreano.
di Emanuele Sacchi

Lee Byung-hun in una scena del film Masquerade di Choo Chang-min.

mercoledì 24 aprile 2013 - Incontri

Riprendendo una pagina oscura della dinastia di Joseon, Choo Chang-min - all'attivo il precedente successo della love story senile Late Blossom - gira un kolossal che mescola comicità e dramma, storia d'amore e spaccato di storia, un'opera al di sopra i generi, che porta a un incasso da record al botteghino e aggiunge un'altra tacca alla solida certezza di una cinematografia in grado di competere con Hollywood sul suo stesso terreno. Quello della grande produzione che non ha un target né un genere preciso di riferimento e che si propone come film-nazione; grande merito va alla reinterpretazione di un fatto storico poco noto e all'interpretazione di Lee Byung-hun, tanto nei panni del re che in quelli del guitto. Approfittando della presenza di Choo Chang-min a Firenze, dove Masquerade ha aperto il Korea Film Festival, approfondiamo i temi del film.

Come finisce il regista di un low-budget come Late Blossom al timone di un'iniziativa di questa portata?
Il successo di Late Blossom mi ha permesso di scegliere tra molti film. In Corea è così, dal successo di un film dipendono le sorti di un'intera carriera: se ce la fai e sfondi ti vengono aperte molte strade, altrimenti rischiano di chiudersi tutte. A me è andata bene.

La scelta di Lee Byung-hun come protagonista porta a concentrare i riflettori sul suo status di star. Lee da parte sua fornisce una prova straordinaria, specie dovendosi sdoppiare tra re e comico, esaltando tratti contrastanti delle due personalità. Come è nata la scelta di Byung-hun e come è stata l'interazione sul set?
In realtà prima di firmare il contratto non mi aspettavo così tanto neanch'io dal lato comico di Lee Byung-hun, la sua metamorfosi è stata qualcosa di sorprendente. Ho insistito perché emergesse questo lato comico il più possibile e la risposta è stata al di là delle aspettative. Credo che abbia fornito una delle sue migliori interpretazioni in Masquerade. Lui è un perfezionista maniacale, ma è rimasto comunque stupito. Giro moltissime scene che poi sono destinato a tagliare, infatti, e Lee Byung-hun mi ha detto di non aver mai affrontato così tante prove nella sua carriera.

La sceneggiatura è scritta a quattro mani con Hwang Jo-yun, lo sceneggiatore di Old Boy: come è nata questa collaborazione e da chi è partito lo spunto della storia? Soprattutto quanto c'è di vero in questa storia?
Quando abbiamo deciso di cominciare il film abbiamo preso un personaggio storico e una vicenda reale. Quasi tutti sono fatti accaduti, o almeno così racconta quella parte di storia che conosciamo; solitamente il re Gwanghae è visto come un personaggio negativo, ma ho cercato di evidenziarne un lato diverso, in qualche modo di riabilitarne la figura a partire da questa vicenda del sosia Ha-sun. In Corea ancora è conservato il diario del re, ma la traduzione non è completa. Se avessi atteso la traduzione del diario probabilmente avrei dovuto aspettare mezzo secolo per girare il film.

Tra i molti esempi nella storia della letteratura e del cinema di sosia che sostituiscono uomini di potere, mi viene in mente Kagemusha, il capolavoro di Kurosawa Akira, con cui Masquerade presenta qualche punto di contatto. Ha rappresentato in qualche modo un'ispirazione?
Kagemusha è una grande ispirazione per i registi coreani in genere e l'ho rivisto prima di girare Masquerade, magari per discostarmi un po' dal modello; filmando volevo esprimere qualcosa di più tipicamente coreano, nei vestiti, nei colori, nell'architettura.

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