Advertisement
La sorpresa dell'amore

Esce il 10 giugno in Italia Le donne del 6° piano, successo francese di Philippe Le Guay.
di Marianna Cappi

Fabrice Luchini in una scena del film Le donne del 6° piano di Philippe Le Guay.
Fabrice Luchini (Robert Luchini) (72 anni) 1 novembre 1951, Parigi (Francia) - Scorpione. Interpreta Jean-Louis Joubert nel film di Philippe Le Guay Le donne del 6° piano.

venerdì 29 aprile 2011 - Incontri

Nonostante sia reduce da un immenso successo di pubblico in Francia, con più di due milioni di presenze in sala, Philippe Le Guay presenta il suo Le donne del 6° piano alla stampa romana con una modestia e una generosità poco comuni. Innanzitutto si scusa di non parlare italiano, mentre racconta di aver dovuto imparare lo spagnolo perché due delle “sue donne”, le interpreti dei personaggi di Dolores e Pilar, non parlavano per nulla il francese (cosa che comunque gli ha regalato il piacere di poter dare istruzioni alle sue attrici senza che il protagonista, Fabrice Luchini, comprendesse nulla, mandandolo regolarmente in ansia). Ma chi sono queste donne del sesto piano? Delle chiassose e vivaci domestiche spagnole che abitano il sottotetto di un immobile borghese al centro di Parigi e cambiano per sempre lavita di un rigido agente di borsa e padre di famiglia: uno straordinario, comme d’habitude, Fabrice Luchini.
Nel cast, anche la bella Natalia Verbeke, nel ruolo della servetta Maria, e Carmen Maura.

Perché un regista francese decide di lavorare con un cast quasi tutto spagnolo?
La motivazione principale che mi ha spinto a fare il film era esattamente quella di lavorare con delle attrici spagnole. Siamo in Europa, ma giriamo sempre con i nostri attori nazionali. Ho pensato alle attrici dei film di Almodovar, Carlos Saura, Bunuel, che ho amato tanto, poi mi sono ricordato dell’episodio storico dell’arrivo di un’ondata di governanti spagnole in Francia negli anni Sessanta e ho desiderato ardentemente fare questo film. Il produttore mi ha sostenuto, sono andato a Madrid tre settimane per il casting: alla mattina andavo al Prado e al pomeriggio, quando vedevo le attrici per i provini, mi pareva di rivedere i volti dei dipinti di Goya e Velasquez.
A questo proposito, mi preme specificare che l’immigrazione di cui parlo non è l’immigrazione politica che è seguita alla guerra civile, ma è l’immigrazione essenzialmente economica che negli anni tra il 1955 e il 1965 ha portato molti abitanti delle zoni rurali della Spagna a trasferirsi per lavoro in Francia. C’erano anche molti uomini tra loro, ma io mi sono interessato alle donne. Non invidio i registi che fanno i film di guerra o di azione con attori tutti uomini e troupes di soli uomini: dev’essere una gran noia.

Che impressione avete trattenuto, con lo sceneggiatore Jérome Tonnerre, dai colloqui fatti con le vere ex domestiche spagnole che hanno lavorato in Francia quarant’anni fa?
Nei ricordi delle donne che abbiamo intervistato c’era moltissima gioia. Nonostante lavorassero dalle 6 del mattino alle 11 di sera, erano felici di essere lontane dal franchismo e dall’oppressione maschile di padri e mariti. La sera stavano in compagnia, uscivano, andavano a vedere i match di box. Erano libere. In quell’esperienza c’era un principio di emancipazione.

Il progetto del film ha una genesi autobiografica?
In parte. Nasce sicuramente da un ricordo della mia infanzia. Mia mamma ad un certo punto assunse davvero una domestica spagnola, che si chiamava Lourdes, con la quale io trascorrevo la maggior parte del mio tempo, quando ero molto piccolo. Al punto che pare parlassi un misto di spagnolo e francese. Se c’è uno psicanalista in sala potrà facilmente capire che alla base di questo film c’è l’amore deluso che ho provato per quella donna. E poi c’è mio padre che, come Luchini nel film, faceva l’agente di borsa e veniva da tre generazioni di agenti di borsa, che io ho interrotto facendo del cinema. Come il personaggio, mio padre aveva un’aria un po’ distante, da sognatore, era un po’ fuori da quel suo mondo. Purtroppo lui non si è mai trasferito al sesto piano con le domestiche. D’altronde è esattamente per questo che si fanno i film: per immaginare altre vite, altre possibilità, per sognare.

Lei si sente più affine al personaggio di Luchini o dei suoi figli?
Spero di non assomigliare troppo a questi ragazzini, a dire la verità. Sono ancora più rigidi di loro padre, più borghesi di lui; rappresentano la legge. Nella realtà accade spesso, se ci fate caso.

Anche gli italiani, specie quelli della regione delle Langhe, in passato sono emigrati in Francia. Come gli spagnoli, avevano origini rurali e una forte fede cattolica.
Si, sono a conoscenza anche di questa ondata migratoria. Nel mio film non a caso ho scelto Luchini, che è figlio di immigrati italiani, e Sandrine Kiberlain, che è figlia di immigrati polacchi. Quegli anni testimoniano di una grande possibilità di integrazione, mentre ora la Francia è più chiusa, le leggi più violente, lo straniero è visto come una minaccia. Con questo film volevo ricordare il grande valore della diversità.

Nel film la visione proposta è piuttosto utopistica…
Certo: l’utopia che il borghese possa trasferirsi “al sesto piano”. Perché ci fosse del realismo ho voluto un personaggio non troppo consapevole, non volevo un Che Guevara, ma qualcuno che scoprisse per caso qualcosa che non conosceva e finisse per farsi contaminare. Il principio di realtà è portato, invece, dai suoi figli e dal personaggio di Carmen Maura, che fa di tutto per impedire la relazione tra il padrone e la domestica, convinta che ognuno debba restare al suo posto. È una credenza, questa, che esiste da entrambe le parti.
Allo stesso modo, ho usato l’incoscienza del personaggio principale per smorzare il clichè del padrone che si innamora della servetta: Jean-Louis è attratto da Maria ma non ne è pienamente e immediatamente cosciente. Soprattutto, è attratto dal gruppo, dall’insieme di quelle donne, non solo dalla singola Maria.

Che tipo di pubblico ha decretato il dilagante successo del film in Francia?
All’inizio il pubblico era decisamente maturo. Un giorno, passando davanti ad una sala dove proiettavano il mio film, mi sono interessato all’entrata su come andavano le presenze e allora mi hanno pregato di entrare e di dire due parola alla fine della proiezione. Ho detto: “ma prima dei titoli di coda se ne saranno andati già tutti”. Mi hanno risposto: “non si preoccupi, sono tutti vecchietti, ora che recuperino le borse e gli ombrelli e si alzino in piedi…. avrà tutto il tempo!” Poi, però, il pubblico si è man mano variegato; sono andati a vedere il film dei ragazzi che non conoscevano la Francia degli anni ’60 e non sapevano nemmeno cos’era un “6° piano”. Ma c’è uno spirito di comunità, in questa storia, che è molto francese e rimanda al teatro di Marivaux e Molière e al cinema di Sacha Guitry e Jean Renoir.

Il suo film è tenero con le domestiche spagnole ma molto duro con le signore francesi…
Non con il personaggio della moglie, però. Lei non è come le sue amiche, viene dalla provincia e in Francia questo faceva moltissima differenza: è una donna più semplice e naturale, non giudica il marito, cerca di capire. E alla fine anche lei evolve a suo modo, cambia.

È lecito pensare che il protagonista stia attraversando la cosiddetta crisi di mezza età?
Io ci vedo piuttosto un uomo un po’ addormentato che ad un certo punto si risveglia. Avrei adorato fare il film con Mastroianni, se fosse stato ancora vivo.

Gallery


{{PaginaCaricata()}}

Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | MYMOVIESLIVE | Dvd | Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | Colonne sonore | MYmovies Club
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Accedi | Registrati