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Il cinema sotto analisi

Cronenberg mette lo spettatore sul lettino dello psicanalista.
di Roy Menarini

In foto Viggo Mortensen in una scena del film A Dangerous Method di David Cronenberg.
Viggo Mortensen (65 anni) 20 ottobre 1958, New York City (New York - USA) - Bilancia. Interpreta Sigmund Freud nel film di David Cronenberg A Dangerous Method.

lunedì 3 ottobre 2011 - Approfondimenti

Chi ben conosce il cinema di David Cronenberg non si stupirà di A Dangerous Method. Come ben rivelato dai suoi più raffinati interpreti, il regista canadese aveva sempre nascosto dietro le mutazioni corporee e la poetica dell'orrore un chiaro profilo psicanalitico. Tutte le scissioni messe in scena nel corso degli anni, fossero covate malefiche o uomini/mosca, gemelli psicopatici o telepati in grado di far scoppiare il cervello, hanno da sempre tradito una ascendenza freudiana.
Senza qui soffermarsi sui dettagli della densa e complessa elaborazione psicanalitica presente nel suo cinema, basti dire che erano semmai History of Violence e La promessa dell'assassino ad apparire meno "cronenberghiani", anche se alla superficie contenevano dosi di "sangue e corpo" a profusione.

Dunque, proprio come in Il pasto nudo (girato audacemente per chiarire il proprio debito con l'opera di William Burroughs), qui Cronenberg esplicita definitivamente le sue fonti. Scegliendo, insieme al testo pre-esistente di Christopher Hampton, di seguire per lo più il punto di vista di Jung, assai lontano dal suo interesse, tiene quasi a distanza Freud. Nel corso del film, però, il regista lascia Jung sempre più solo e disperato, e Freud invece pieno di allievi – a cominciare da Sabine Spielrein, tra le scopritrici del concetto di eros/thanatos. Tutto A Dangerous Method diventa così una torturante seduta psicanalitica, dove gli spazi concentrati dell'analisi o del dialogo tra analisti diventano via via più appassionanti e sconvolgenti. Sebbene ci sia poco spazio per gli eccessi visivi del maestro, ciò che ribolle sotto quei pavimenti e dietro quegli specchi è l’intero concetto di inconscio novecentesco, oltre che il cinema nella sua essenza e origine, come chiarisce la meravigliosa sequenza del test psicologico che Jung somministra alla moglie, giocato sul tema del pre-cinema e dell'ipnosi.

Il film, infine, possiede una dimensione mortuaria e pessimista. Mentre i due padri della psicanalisi (anzi psico-analisi, come vuole Freud) si superano a vicenda per scoprire come la sessualità guidi le vite dell'uomo (moderno), la Storia sta per travolgere tutto e tutti. La Prima Guerra mondiale e l'antisemitismo non avranno più nessun rispetto per l'individuo che i borghesi svizzeri e austriaci studiavano, credendosi al riparo dalla ferocia umana. Una dimensione, quella della violenza e della follia bellica, che – ci suggerisce Cronenberg – non riusciva ad essere accolta e compresa nell’ossessivo triangolo nevrotico tra Gustave, Sabine e Sigmund. E così, in quei salotti borghesi dove nasceva la grande scienza della mente, si stava in verità celebrando una sconfitta. E – visto che come sempre gli autori cinematografici trovano modo di dialogare inconsciamente tra di loro – cento anni dopo, riecco altri borghesi, chiusi in una stanza, impegnati a far esplodere le proprie nevrosi, sadismi e ossessioni, nel Carnage di Polanski, altra seduta analitica in forma di quartetto. Del resto Freud lo aveva detto, che rischiava di portare la Peste in America.

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