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London Boulevard, le due anime del nero

William Monahan sovrappone l'aspetto gangsteristico a quello più d'atmosfera.
di Marco Chiani

Colin Farrell in una foto di scena del film London Boulevard, opera prima di William Monahan.
Colin Farrell (47 anni) 31 maggio 1976, Dublino (Irlanda) - Gemelli. Interpreta Mitchell nel film di William Monahan London Boulevard.

lunedì 6 giugno 2011 - Approfondimenti

Se cercate un aspetto capace di accomunare tutti i grandi titoli di quel territorio senza confini che è il noir rivolgetevi pure al destino. Ostinato, incontrollabile, beffardo. Impossibile sfuggirvi, anche quando l’anti-eroe sembra avercela fatta, ecco che quel piccolo elemento dimenticato nella foga della narrazione si palesa all’improvviso, riportando definitivamente il protagonista nell’ombra da cui proviene. Genere o stile – il dibattito è ancora aperto – che ci ricorda l’assurdo e il male di vivere, quell’attitudine all’oscurità resa grande da Welles e Huston, Tourneur e Preminger torna in alcuni dei suoi aspetti più peculiari in London Boulevard, esordio dietro alla macchina da presa di William Monahan, sceneggiatore premio Oscar per l’affine The Departed – Il bene e il male. Come spesso accade quando uno scrittore siede alla postazione di regia, spesso la teoria si nasconde dietro all’angolo: così più che nei pressi di un noir vero e proprio ci troviamo di fronte ad un film sulle sue forme e il suo funzionamento, ad una visione condotta con un gusto da appassionato a lungo andare non troppo distante da una certa spocchia.

Tra le due anime classiche del nero – l’una che approda al gangsteristico e l’altra più d’atmosfera con chiari riferimenti alla narrativa di Chandler, Hammett e Cain –, Monahan semplicemente non sceglie, preferendo sovrapporre le due possibilità. Così il classico ex galeotto che, una volta fuori, fatica a tenersi lontano dal brutto giro per cui è finito dentro si trova per un po’ nella stessa situazione vissuta da William Holden nel capolavoro Sunset Boulevard di Billy Wilder, da noi Viale del tramonto, citato già esplicitamente dal titolo. Al posto della diva in declino interpretata da Gloria Swanson c’è una giovane attrice – interpretata dalla fragile Keira Knightley – che vive una vita da reclusa per sfuggire ai paparazzi. Il Mitchell di Colin Farrell le si avvicina, la accudisce, la scorta in campagna, sapendo però che il suo posto più naturale è tra le strade. Magari a bordo di una Rolls Royce invece che della mitica Isotta Fraschini del film di Wilder, ma pur sempre nella giungla d’asfalto di corsie illuminate di sbieco o bagnate dalla pioggia, medesime strade perdute dritte verso la dannazione di una parabola di cui conosciamo l’esito.

"Esistono solo due categorie di persone: i cattivi e i molto cattivi. Ma noi siamo giunti ad un accordo e chiamiamo buoni i cattivi e cattivi i molto cattivi", parola di Fritz Lang, autore di capolavori del genere come Strada scarlatta e Il grande caldo. Monahan probabilmente è dello stesso avviso del maestro. Per questo oltre allo spietato gangster interpretato da Ray Winstone, dove convivono l’ambiguità di Piccolo Cesare, l’impassibilità de L’infernale Quinlan e la ferocia dei neo-noir targati Coen, anche quelli che idealmente dovrebbero stare dall’altra parte non sono poi così convinti: si pensi all’eclettico factotum/attore del bravo David Thewlis o allo stesso Michell cui la situazione sfugge di mano più di una volta. Grande assente è la dark lady, figura resa immortale dalla Barbara Stanwyck di La fiamma del peccato o della Jane Greer di Le catene della colpa per intenderci, quel tipo di donna insomma che arma una pistola con la stessa facilità con cui poggia una sigaretta fumante fra le labbra. Il bel sesso per Monahan è sì perduto, ma nuoce più a se stesso che all’eroe, diviso com’è tra la facile sorella del protagonista e la depressa stella che si trova affianco per un po’. E se anche questa scissione fosse un omaggio a quel tema del doppio che attraversa tutto il genere da Lo specchio scuro e La donna del ritratto fino a De Palma e Lynch?

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